Yuga, Pāda e Upapāda

Per comprendere ciò che segue, è necessario spiegare alcuni concetti fondamentali. Uno di questi concerne i cicli planetari come interpretati in questo contesto, cioè l’evidente, a mio avviso, stretta correlazione tra yuga induisti e eoni astrologici. Tale relazione si manifesta in diversi modi. Il Sūryasiddhānta, il calendario tradizionale induista che si occupa della durata degli yuga, descrive ogni yuga nell’ordine di centinaia di migliaia di anni dai 432.000 anni del Kālīyuga, ai 1.728.000 anni del Satyayuga. Essendo cifre molto estese, per trovare dei riferimenti immediati con la nostra civiltà, la sua storia, la sua preistoria e le scoperte archeologiche, ma anche con le tradizioni di culture come quella ebraica, egizia, sumera o quella induista stessa e motivato dagli insegnamenti ricevuti e dagli studi effettuati ho ritenuto necessario dividere la cifra relativa ad ogni yuga e ai suoi sandhi (periodi di transizione tra uno yuga e l’altro) per 100 consapevole del particolare significato che le tradizioni antiche hanno, da sempre, dato al sistema numerico decimale, nonché per l’importanza che i sottomultipli di 360 anni (12×30), rivestono all’interno di specifici archi temporali connessi a specifiche costellazioni, solari e lunari (dunque nei relativi karma), nell’astrologia induista o jyotishavedānga. Il risultato, ovviamente sono dei cicli temporali più contenuti, costituiti di migliaia e centinaia di anni e quindi più coerenti con la storia della civiltà umana, anche se fosse spostata indietro la lancetta del tempo di migliaia o decine di migliaia di anni. Tali yuga, così calcolati, sono inoltre maggiormente congruenti con i movimenti della rotazione e della rivoluzione terrestre, nonché con la precessione equinoziale e con gli eoni astrologici e le dodici costellazioni. Del resto, maestri indiani come Shrī Yukteswar Giri (Priyanath Karar) ed altri, avevano già intrapreso, in parte, questa strada (vedere, ad esempio, Swami Shrī Yukteswar Giri, La Scienza sacra, Astrolabio Edizioni, 1993). Ritengo che come dimostrato nel corso della sezione, sia un errore non mettere in relazione gli yuga induisti con le dodici costellazioni, principalmente per due ragioni: la prima riguarda la notevole importanza che il jyotishavedānga, l’astrologia indiana, riveste in tutta la tradizione hindū e la seconda è l’evidente, stretta correlazione numerica che c’è tra yuga, mahāyuga, eoni astrologici e anno platonico . La durata tradizionale di un mahāyuga hindū, cioè l’insieme di quattro yuga (Satyayuga o età dell’Oro, Tretāyuga o età dell’Argento, Dvāparayuga o età del Bronzo, Kālīyuga o età del Ferro, più i rispettivi sandhi) è di 4.320.000 anni (Satyayuga: 1.728.000 anni, Tretāyuga: 1.296.000 anni, Dvāparayuga: 864.000 anni, Kālīyuga: 432.000 anni). In linea però con quello che già Yukteswar Giri (Priyanath Karar) ed altri avevano intuito, per passare da un Kālīyuga ad un nuovo Satyayuga, è necessario attraversare nuove ere di Dvāparayuga e Tretāyuga ascendenti, motivo per cui, nel contesto di questo libro, il mahāyuga è il risultato di sei yuga più i sandhi e non di quattro, quindi 4.320.000 anni più 864.000 (Dvāparayuga) e 1.296.000 anni (Tretāyuga) ovvero: 6.480.000 anni. Come verrà in seguito approfondito, questa cifra appartiene, secondo me, ad un ciclo maggiore all’interno del quale ci sono cento mahāyuga planetari di 64.800 anni, cifra, quest’ultima, estrapolata dalla divisione per 100 del mahāyuga di 6.480.000 anni e che è l’insieme di sei yuga planetari più i corrispondenti sandhi, ma in relazione, come già detto, ad una datazione più congrua con le altre tradizioni antiche mistiche e religiose, con le scoperte storiche ed archeologiche, quindi con l’evoluzione stessa della specie umana, nonché con i cicli zodiacali e precessionali. D’ora in avanti per mahāyuga planetario o minore, intenderò sempre il ciclo temporale di 64.800 anni mentre per ciclo maggiore o mahāyuga maggiore, intenderò il ciclo temporale di 6.480.000 anni, eccetto altre specificazioni. Su questi aspetti torneremo nei capitoli successivi di questa sezione, per ora è sufficiente dire questo. Quindi, senza spiegare nel dettaglio come sono giunto alle seguenti conclusioni, che è uno dei temi dei capitoli successivi, dirò che ciascun eone astrologico è, tradizionalmente, calcolato in 2.160 anni e che ogni yuga è costituito da due o più eoni astrologici. Gli eoni astrologici di un anno platonico sono dodici e corrispondono alle dodici costellazioni, dando senso e significato all’antica credenza, cavalcata anche in epoca moderna, di era astrologica. Ciascun eone di 2.160 anni è un dodicesimo di un anno platonico o anno perfetto, calcolato, secondo la precessione equinoziale, in 25.920 anni. Dopo aver suddiviso ogni yuga tradizionale per 100, ho suddiviso ogni yuga, così calcolato, per la durata di un eone astrologico di 2.160 anni, ho trovato che gli yuga induisti sono tutti multipli di 2.160 anni, sia quelli tradizionali che quelli da me calcolati, che altro non sono, ovviamente, che gli stessi yuga divisi per 100. I risultati sono i seguenti: il Satyayuga è costituito precisamente da otto eoni astrologici (17.280 anni), il Tretāyuga da sei eoni (12.960 anni), il Dvāparayuga da quattro eoni (8.640 anni), il Kālīyuga da due eoni (4.320 anni). Altro aspetto fondamentale è la durata del cosiddetto sandhi, tradizionalmente, la parte iniziale e quella finale di ogni yuga. Naturalmente ho suddiviso anche la durata tradizionale di ciascun sandhi per 100. Ma indipendentemente da tale divisione, ho notato che ogni sandhi è esattamente un dodicesimo di ogni yuga ed ecco ancora il numero 12. Perché un dodicesimo e non un decimo o un quinto o un sesto, ecc…? A mio avviso è evidente, anche qui, la correlazione con il numero 12, in funzione delle dodici costellazioni tradizionali. Togliendo i due dodicesimi, uno iniziale e uno finale, che corrispondono ai due sandhi dello yuga, è naturale a questo punto, che le dieci parti, della stessa durata ciascuna di un sandhi, che compongono la parte centrale dello yuga hanno una loro importanza e significato e inoltre credo, sia plausibile, che queste dodici parti costituenti ogni yuga, siano in relazione con le dodici costellazioni. Il sandhi iniziale di uno yuga, il primo dodicesimo, apre lo yuga di riferimento ed è connesso alla costellazione dell’Ariete (sanscrito: Mesha), la quale apre il ciclo zodiacale. Il sandhi finale di uno yuga, l’ultimo dodicesimo, chiude quello specifico yuga ed è connesso all’ultima costellazione che chiude il ciclo zodiacale, quella dei Pesci (Mina). Seguendo questa logica, gli altri dieci dodicesimi che compongono la parte mediana di ogni yuga, sono collegati alle altre costellazioni, dal Toro (Vrishabha), all’Acquario (Kumbha). Nel corso dei capitoli che seguiranno, le età planetarie verranno calcolate in funzione di tali conclusioni e per ciascuna delle dieci parti, equivalente alla durata di un sandhi, per distinguerla da quest’ultimo, verrà utilizzato il termine sanscrito: pāda, che significa, parte, oppure, il termine eone minore. I dodici pāda (compresi i due sandhi) sono collegati, come già detto, alle dodici costellazioni astrologiche dello Zodiaco e sono, oltre agli yuga e agli eoni (astrologici), molto importanti, come vedremo, nello scandire fasi nevralgiche e fondamentali nella storia del pianeta, naturalmente da un punto di vista induista e astrologico. Come da me calcolato e spiegato ai capitoli successivi, il Satyayuga è composto da due sandhi e dieci pāda, ciascuno della durata di 1.440 anni, il Tretāyuga è composto da due sandhi e dieci pāda, ciascuno di 1.080 anni, il Dvāparayuga da due sandhi e dieci pāda, ciascuno di 720 anni e infine, il Kālīyuga è costituito da due sandhi e dieci pāda di 360 anni ciascuno. Seguendo questi calcoli e prendendo di riferimento, come vedremo, l’importante data hindū del 3.102 a.C. che corrisponderebbe, tra le altre cose, alla dipartita del nono avatāra di Vishnu, Shrī Krishna. La parte effettiva del Dvāparayuga discendente si è conclusa tecnicamente nel 2382 a.C., periodo in cui è cominciato il suo sandhi finale della durata di 720 anni (La data del 2000 a.C. s’inserisce, dunque, all’interno del passaggio tra Dvaparayuga e Kālīyuga). Il Kālīyugasandhi iniziale, successivo a quello finale del Dvāpara, è cominciato nel 1662 a.C., tecnicamente, quindi, il Kālīyuga planetario effettivo è iniziato nel 1302 a.C. (1662-360). Il punto di maggior contrasto del mahāyuga planetario, inteso in senso coscienziale-spirituale, cioè il punto di passaggio tra fase discendente e fase ascendente, in riferimento ai concetti metafisici di adharma e dharma, si è manifestato nella metà precisa del Kālīyuga, esattamente alla fine del primo dei due eoni che lo compongono, l’eone astrologico dell’Ariete (Mesha), intorno all’anno 498 d.C., anno che ha inaugurato l’inizio dell’eone dei Pesci (Mina). Logicamente, il punto mediano naturale del mahāyuga planetario, si è verificato, invece, nella metà precisa dei 64.800 anni, dunque dopo 32.400 anni dall’inizio di tale mahāyuga, precisamente alla fine del primo dei quattro eoni del ciclo connesso al Dvāparayuga discendente, intorno all’anno 8142 a.C.. Altra data importante, in base a questi calcoli, da segnalare in relazione all’umanità è stata il 10302 a.C. (8.142+2.160) ossia 12.317 anni fa, in quanto corrisponde all’inizio del ciclo connesso al Dvāparayuga discendente, in altre parole l’inizio del Dvāparayugasandhi iniziale del Dvāparayuga discendente. Tale data pur avendo, anch’essa, un preciso significato nell’evoluzione dell’umanità, non verrà approfondita in questo contesto, sebbene alcuni riferimenti desidero darli:
1) Circa 12.000 anni fa si verificò la cosiddetta glaciazione Würm ovverosia l’effetto causato dall’ultima glaciazione, in altre parole, il più recente periodo glaciale, iniziato intorno a 110.000 anni fa e terminato all’incirca tra il 9600 e il 9700 a.C., verificatosi durante il Pleistocene (compreso tra circa 1,8 milioni di anni fa e circa 11.700 anni fa). Alcuni fanno corrispondere questo evento, caratterizzato dal conseguente scioglimento dei ghiacciai e il relativo innalzamento del livello dell’acqua, con il leggendario diluvio universale, evento ricorrente in numerose tradizioni antiche.

2) Presso la nebulosa delle Vele, visibile nella costellazione delle Vele, si trova la nebulosa NGC 2736. L’oggetto fisico che ha causato questa nebulosa era all’incirca 800 anni luce dalla Terra e i suoi resti sono caratterizzati dalla pulsar delle Vele. Tale pulsar era il nucleo di una stella supermassiccia che esplose come supernova circa 12.000 anni fa. Secondo alcuni studi, sarebbe stata l’ultima supernova, in ordine di tempo, più vicina al nostro sistema solare e noi sappiamo che in ambito esoterico qualsiasi fenomeno del nostro universo più o meno connesso spaziotemporalmente al nostro sistema solare, nasconde sempre delle implicazioni nascoste, più o meno evidenti, d’importanti significati metafisici in relazione alla specie umana essendo, secondo la tradizione esoterica, questo mondo fisico e osservabile, uno dei sette mondi (loka) percepibili dalla coscienza dell’essere umano ed essendo tutti e sette indissolubilmente interconnessi, in quanto parti costitutive di uno specifico multiverso, come spiegato alla precedente sezione e successivamente nel libro.

3) Curiosamente Platone colloca la fine di Atlantide, nei suoi Timeo e Crizia, a circa 11.600 anni fa.

Questa incongruenza temporale tra il punto che indica il passaggio dalla fase discendente alla fase ascendente del mahāyuga planetario (498 d.C.) e la sua effettiva metà (8.142 a.C.) è relativa al fatto che all’interno di questo ciclo delle età del pianeta, viene considerato un singolo Satyayuga (come per il Kālīyuga), in quanto sono dell’avviso, che con un successivo Satyayuga si apre un nuovo mahāyuga planetario. Questo per dire che nel corso del libro, quando farò riferimento alla fase centrale del mahāyuga planetario intenderò, eccetto altre specificazioni, la fine dell’emiciclo discendente e l’inizio di quello ascendente, evento avvenuto precisamente, come suddetto, nel 498 d.C., anno in cui le due forze contrapposte del dharma e dell’adharma iniziarono ad entrare maggiormente in collisione. Detto questo, di momenti nevralgici all’interno di un mahāyuga planetario ve ne sono ragionevolmente diversi, tra queste fasi particolari, sia l’inizio del Dvāparayuga discendente (compreso il sandhi iniziale), nel 10320 a.C., sia il passaggio dalla parabola discendente a quella ascendente, il 498 d.C., come l’inizio del Dvāparayuga ascendente (compreso il sandhi iniziale) nel 2658 d.C., corrispondono, esotericamente, a tre tra gli stadi più importanti nella storia evolutiva e spirituale della specie umana e del mondo. L’attuale eone dei Pesci (Mina) permarrà sino al 2658, lasciando il posto all’eone dell’Acquario (Kumbha), anno in cui terminerà il Kālīyugasandhi finale o dodicesimo e ultimo pāda del Kālīyuga e inizierà un nuovo Dvāparayugasandhi iniziale o Dvāparayugapāda dell’Ariete (Mesha) , che coprirà il primo terzo dell’eone dell’Acquario o Kumbha (2.160/3=720 anni). Ma prima di tale evento temporale conosciuto dai più, come età dell’Acquario, c’è un altro importante evento, la fine tecnica del Kālīyuga, cioè il termine dell’attuale undicesimo pāda, prima del suo sandhi finale o dodicesimo pāda, nel 2298, fase temporale particolarmente nevralgica per tutto il globo. Sempre seguendo il principio che scandisce in dodici periodi temporali, connessi alle dodici costellazioni, i cicli minori e maggiori, possiamo calcolare ora, quelli che ho definito gli upapāda, i pāda secondari di ogni yuga. Nel caso, ad esempio, del Kālīyuga, la durata di ognuno dei dodici pāda è 360 anni. Se dividiamo ulteriormente 360 anni per dodici, otteniamo 30 anni, che è la durata di ciascuno dei dodici upapāda. Ogni yuga è composto quindi da 144 upapāda. Guardiamo ora più da vicino, lo specifico periodo temporale in cui, in base a questo particolare sistema, potremmo trovarci. Secondo questi calcoli, nel 1938 è cominciato l’undicesimo e attuale Kālīyugapāda, che precede il sandhi finale del Kālīyuga. L’undicesimo pāda è collegato, come abbiamo visto, all’undicesima costellazione, cioè quella dell’Acquario (Kumbha), come il Kālīyugasandhi finale o dodicesimo Kālīyugapāda è collegato alla costellazione dei Pesci (Mina). L’attuale undicesimo pāda è cominciato nel 1938 e si concluderà nel 2298. Suddividendo l’arco temporale tra le due date, otteniamo ovviamente, il Kālīyugapāda di 360 anni, il quale è costituito da dodici cicli di trent’anni ognuno, i dodici upapāda, anch’essi, come i pāda, connessi alle dodici costellazioni. Proseguendo con il ragionamento, il periodo dal 1938 al 1968 corrisponde al Kālīyugaupapāda dell’Ariete (Mesha), il primo. Dal 1968 al 1998 è il Kālīyugaupapāda del Toro (Vrishabha), il secondo. Dal 1998 al 2028 è il Kālīyugaupapāda dei Gemelli (Mithuna), il terzo e l’attuale. Quest’ultimo Kālīyugaupapāda spiegherebbe la particolare importanza che in certi messaggi spirituali viene data alle tre eclissi solari totali, quella del 1999, quella del 2015 e quella del 2026, tutte in riferimento a questo terzo upapāda. Una è stata definita l’apertura, l’altra il consolidamento e la terza, la rinascita . Probabilmente tale simbolismo, è connesso al significato rappresentativo della costellazione dei Gemelli (Mithuna) in questo particolare contesto temporale. Difatti in astrologia vedica, il segno dei Gemelli (Mithuna) indica il doppio, la dualità rappresentata dal dharma e dall’adharma, la legge divina e il caos, all’interno della natura umana, il suo upapāda, indicherebbe lo stesso significato simbolico ma ad un livello collettivo. Interpretando tale simbolismo, caratterizzante questo terzo upapāda, all’interno del particolare ciclo temporale più esteso in cui si trova, tale rappresentazione indica come questi trent’anni (1998-2028), siano teatro di particolari scelte collettive riguardanti l’umanità e il suo percorso evolutivo-spirituale, tra un aspetto e l’altro della creazione, bene espresso dal dualismo insito nella costellazione dei Gemelli (Mithuna). Questo, naturalmente, è soltanto uno dei livelli di significato manifestato da tale costellazione, ma non è il meno importante. Inoltre ad indicare l’importanza di questo terzo upapāda, vi sono queste tre eclissi (le eclissi, sia solari che lunari, parziali o totali, nel sistema del jyotishavedānga, hanno sempre un particolare significato karmico), summenzionate, di cui la prima e la terza, coincidono abbastanza precisamente con l’inizio e la fine di tale ciclo minore, considerando peraltro che in astrologia vedica le eclissi hanno sempre un nesso fondamentale con la germogliazione di importanti karma planetari e dunque collettivi, sebbene sia necessario suddividere rispetto al significato esoterico, l’eclissi solari da quelle lunari. Secondo sempre l’astrologia indiana, le eclissi sono causate dai due nodi lunari; il nodo lunare nord, Rahu o la testa del drago e il nodo lunare sud, Ketu o la coda del drago. Entrambi i nodi hanno forti connessioni con alcuni semi karmici (samskāra) dormienti e radicati nelle profondità del karma relativo al pianeta Terra a cui gli esseri umani sono collegati, ma ciascuno è stimolatore di due diverse categorie di samskāra ed entrambi segnano importanti passaggi che condizionano gli esseri umani collettivamente. Ketu agisce sui samskāra connessi alla coscienza spirituale dell’individuo, stimolandone l’espansione e le relative prese di consapevolezza e causa l’eclissi solari. Rahu agisce sui samskāra connessi alla personalità inferiore, stimolandone la germogliazione e l’emersione dal livello inconscio a livello conscio, provocando intense perturbazioni e destabilizzazioni sia a livello mentale, emotivo che eterico-fisico e causa l’eclissi lunari, Rahu e Ketu agiscono sempre sinergicamente. Concludendo, inoltre, la data del 21 dicembre 2012, che indica nel calendario maya, la fine del quarto ciclo cominciato, secondo questa civiltà, nel 3114 a.C. , corrisponde quasi perfettamente con la metà effettiva del suddetto Kālīyugaupapāda (30/2=15, 1998+15=2013), collocazione che potrebbe rivestirla di una certa importanza esoterica, dato anche, come suddetto, il particolare significato del segno dei Gemelli (Mithuna), ma non certamente relativa alla fine del mondo, in senso assoluto, come erroneamente detto da più parti, bensì, eventualmente, tale data rappresenterebbe (funzionalmente ai calcoli effettuati) una sorta di spartiacque minore (circa la metà del terzo Kālīyugaupapāda del segno doppio dei Gemelli). Questa data del calendario maya, pur appartenendo, in questo ambito, ad un ciclo minore di trent’anni, viene rivestita di un certo significato ed una certa importanza, in quanto la sua collocazione nel segno dei Gemelli, analizzata nell’attuale contesto spaziotemporale, assume una valenza del tutto particolare perché all’interno di un ciclo maggiore abbastanza turbolento (Kālīyugapāda dell’Acquario, o Kumbha, costellazione governata dall’aspetto yang di Saturno, o Shani, considerato in astrologia hindū un pianeta “malefico”, dunque astrologicamente foriera di nevralgici nodi karmici negativi collettivi), relativamente allo yuga di appartenenza (Kālīyuga, ovvero, lo yuga, considerato, tradizionalmente, più materialista, connesso a Bhūrloka, il mondo più materiale, e pervaso di tamas guna, dal potere velante e ottenebrante, relativamente alla coscienza umana), alla fase ascendente di tale yuga (498, inizio dell’eone dei Pesci o Mina) con la relativa connessione all’avatāra Gesù Cristo e alla relativa era messianica che ha preparato tale passaggio nonché l’approssimarsi della fine dell’attuale yuga da cui consegue il passaggio al Dvāparayuga ascendente, il quale comincerà con l’eone dell’Acquario (Kumbha), che stimolerà una forte spinta coscienziale individuale e collettiva attraverso quello che, usando una terminologia importata dalla meccanica quantistica, potrebbe essere paragonato ad un consistente salto quantistico, ovvero, tale azione, intervenendo sulla frequenza fondamentale caratterizzante lo stato quantistico in cui si oggettiva questo pianeta in questa specifica linea spaziotemporale, predisporrebbe ad un cambiamento di stato quantistico, con conseguente cambiamento di frequenza del livello microscopico fondamentale della materia del pianeta, che in termini di metafisica hindū significa, letteralmente, il passaggio ad un altro loka o globo, con relativo passaggio di stato coscienziale (avasthā) conseguenza di una diversa stimolazione di manipura chakra.

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