Abbiamo visto cosa rappresenta il concetto hindū di svadharma, come sia strettamente interconnesso al concetto metafisico, che verrà successivamente approfondito, di assetto energetico individuale e di come entrambi gli aspetti siano alla base della corretta espressione dell’azione divina nella materia, definita karma yoga. In questo approfondimento affronteremo i diversi fattori che permettono di collocare l’entità umana, con la sua peculiare struttura energetica, secondo la metafisica hindū ed ebraica, all’interno del panorama cosmico e divino a cui legittimamente appartiene, anche in rapporto ad un’altra importante linea evolutiva, per il sistema solare, l’ordine angelico, o per dirla con l’Induismo, devico. Cominciamo dai pianeti e da come condizionerebbero la struttura energetica o quantistica dell’essere umano . Secondo alcune speculazioni di fisica quantistica, è possibile, anche con ciò che viene teorizzato dal fisico statunitense Steven Weinberg e descritto dal fisico Michio Kaku nel suo libro Mondi paralleli (Michio Kaku, Codice edizioni, Torino, 2006), paragonare gli universi paralleli a delle onde radio che si trovano tra loro in uno stato di decoerenza quantistica (quando due stati fisici non sono più sincronizzati e quindi, eccetto particolari condizioni, non interagenti, tale per cui questi universi, come le onde radio, sono percepibili, in questo caso, dall’individuo solo uno alla volta, come succede alla radio quando si sintonizza su una singola frequenza alla volta, nonostante le altre onde radio continuino ad esistere in attesa di essere “percepite”. Michio Kaku spiega che ciascun mondo, in questo caso, copie simili (ma mai uguali) del pianeta Terra, appartenenti ad universi diversi, paralleli e coesistenti, è caratterizzato da onde che vibrano a frequenze diverse e ne caratterizzano l’energia specifica e contraddistinta. Ma tale differenza è legata allo stato “attuale” che sarebbe di decoerenza e che darebbe l’illusione che ognuno di tali universi, dello stesso multiverso, sia l’unico ad essere reale ed esistente. In realtà, attraverso quel meccanismo quantistico conosciuto come entanglement (inglese: aggrovigliamento) che permette, attraverso l’interferenza quantistica, di rendere due elementi non più fungibili, come due universi in decoerenza (quindi separati), fungibili, la connessione tra universi paralleli dello stesso multiverso si mantiene, sebbene non percepibile o evidente. L’entanglement quantistico spiega, attraverso la correlazione quantistica, come ogni sistema (universo) non può essere descritto singolarmente ma solo in relazione alla sovrapposizione di più sistemi (universi). Questo perché, in teoria, tali universi paralleli sviluppatisi da una stessa biforcazione, mantengono una connessione nonostante lo stato di decoerenza, una connessione che secondo un altro principio quantistico, quello di non località, non è soggetta ai limiti dello spaziotempo. In qualche modo tutti gli alter ego di una stessa identità pur non percependosi l’un con l’altro potrebbero, in una certa misura, influenzarsi reciprocamente. Dico questo perché è necessario per comprendere quello che è il tema centrale. L’assetto energetico di ciascun individuo è formato da diversi fattori, tra cui l’anima, con i tre corpi intuitivo, beatifico e volitivo, e la personalità inferiore con i suoi tre corpi: mentale, emotivo ed eterico-fisico. Ognuno di questi fattori vibra ad una certa frequenza che viene espressa da un numero specifico, ad evidenziarne, però, in questo caso, primariamente la successione sequenziale, tale numero è definito in linguaggio esoterico e mistico, come forza (shakti), emanazione (sephirah), raggio o aspetto. Ogni emanazione emana l’una dall’altra e tutte emanano dallo zero divino, l’Ein Sof (Infinito) ebraico-cabalistico o l’Avyakta induista (Immanifesto), come vedremo più avanti. Le frequenze principali che strutturano l’assetto individuale umano sono sette, definite da A.A.Bailey come i sette raggi e definite, in questo contesto, come forze (shakti) o emanazioni (sephiroth), in relazione sia alla tradizione tantrica induista delle tre shakti (forze): Ichchhāshakti, Jñānashakti e Kriyāshakti (v., ad esempio, Yoginīhridaya Tantra, Prānatoshinī, Rudra Yāmala, Shaktisamgama Tantra) e delle dashamahāvidyā (sanscrito: le dieci grandi sapienti, le dieci Madri divine, v., ad esempio, Tantra Chudamani, Kulārnava Tantra) e sia alla tradizione cabalistica ebraica delle dieci sephiroth (emanazioni). L’anima di ciascuno è caratterizzata da una frequenza specifica, qui definita forza o emanazione, e così è per la personalità, il corpo mentale, ecc.… La materia ad un livello fondamentale, cambia totalmente il suo comportamento fisico, come spiegato alla terza sezione, il livello che a noi interessa in relazione all’assetto energetico è quello quantistico, cioè il più microscopico. La conoscenza mistica ed esoterica dell’Induismo come della cabala ebraica, insegnano che gli elementi che compongono la struttura energetica di un individuo, sono condizionati dai pianeti del sistema solare che a loro volta, catalizzano particolari influssi stellari provenienti da specifiche stelle o ammassi stellari all’interno delle dodici costellazioni tradizionali utilizzate, per altri motivi , anche in ambito astrologico. Questi condizionamenti avvengono a livello quantistico . Ora, per comprendere oltre dobbiamo riprendere il discorso precedentemente fatto rispetto agli universi paralleli, ognuno caratterizzato da frequenze diverse e quindi da un’energia differente. Abbiamo visto come ciascun universo mantenga, teoricamente, nonostante lo stato quantistico di decoerenza, attraverso l’entanglement, una forma di correlazione che supera i limiti dello spaziotempo grazie al principio quantistico di non località, dove, sempre in teoria, l’informazione può passare istantaneamente, quindi ad una condizione superluminale (superiore alla velocità della luce) da un universo ad un altro, all’interno dello stesso multiverso e coprire distanze infinite ad una velocità infinita. Tali universi, pur essendo contraddistinti da energie specifiche diverse, mantengono un certo tipo di interazione tra loro. Trasliamo quanto detto ai kosha hindū, cioè letteralmente gli involucri, le guaine, i diversi corpi che compongono l’entità umana. Nell’Induismo, come nell’Ebraismo mistico (con i tre livelli di nefesh, ruach e neshamah), si parla di differenti corpi che “rivestono” l’anima o, nell’Induismo, ātman. I corpi che compongono la personalità inferiore, o jana, che caratterizza il mezzo attraverso cui l’ātman può fare esperienza nei triloka (tre mondi o universi inferiori), sono quello fisico (annamayakosha), quello emotivo (kāmamayakosha) e quello mentale (manomayakosha) e si dice, tradizionalmente, che il corpo emotivo sia più “sottile” di quello fisico e quello mentale più “sottile” di entrambi, sino ad arrivare all’anima che è considerata come costituita della materia più “sottile”, dopo la monade o paramātman. Ora, cosa s’intende per più “sottile” se ogni cosa anche quella più “fisica” in essenza è composta da particelle microscopiche e, persino, secondo recenti teorie di fisica, di minuscole corde vibranti chiamate stringhe? Cosa significa a questo punto più o meno sottile? Io credo che tale sottigliezza, sia stata superficialmente interpretata e che, alla luce delle ultime speculazioni in fisica teorica, l’interpretazione più plausibile per spiegare, con una certa coerenza, ciò che viene detto a proposito dei diversi corpi contemplati nei testi antichi hindū, sia quella della meccanica quantistica. Ovverosia, la differente consistenza di ogni corpo è, verosimilmente, parlando della medesima entità e del medesimo individuo, indicativa della differente energia specifica che caratterizza le diverse frequenze di ogni corpo, (come per le onde radio e gli universi) che è necessariamente sincronica e in fase rispetto alle frequenze specifiche dell’universo spaziotemporale di appartenenza. Ciò che intendo dire è che i diversi corpi, emotivo, mentale, spirituale, potrebbero essere i nostri alter ego più importanti, cioè quelli con i quali vi è la maggiore interferenza quantistica. Le differenti emanazioni o forze, potrebbero, a questo punto, indicare la specifica modalità vibratoria che caratterizza sia gli universi spaziotemporali maggiormente in connessione con questo e sia, conseguentemente, le specifiche frequenze degli alter ego appartenenti a tali universi, in altri termini, indicherebbero le specifiche energie che contraddistinguono gli universi con i loro rispettivi alter ego. Da tutto ciò si deduce che questi alter ego sarebbero la nostra mente, la nostra emotività e la nostra coscienza spirituale? Lascio a voi stabilire il grado di connessione probabile tra questi alter ego e il nostro io “attuale”, ma se la teoria del multiverso e quella dell’entanglement, dell’interferenza quantistica e della non località hanno una loro applicazione nella vita e nell’esperienza umana, postulando l’esistenza di corpi alternativi (eterico, emotivo, mentale, intuitivo, ecc…), relativamente alla filosofia e alla metafisica induista, tali connessioni sono inevitabili. Vediamo cosa c’entra tutto questo con gli angeli e le dodici costellazioni. Gli angeli, delle tradizioni religiose antiche, all’interno di questo schema teorico, potrebbero essere entità situate in universi spaziotemporali del futuro di questo stesso universo, quindi regolati dalle stesse leggi fisiche, e che quindi mantengono tra loro un’interferenza quantistica, come entità di natura diversa rispetto alla specie umana, appartenenti ad un altro multiverso, in relazione al nostro, con cui vi è la possibilità di tale interferenza. Tutto questo è comprensibile attraverso un’altra teoria della fisica quantistica che è quella del campo quantistico. Semplificando, in fisica teorica, il campo è l’oggetto più fondamentale in natura. La componente fondamentale dell’universo non è la particella, è qualcos’altro che permette alla stessa particella di oggettivarsi, qualcosa che consente di modificare la natura delle cose ad un livello fondamentale. Il campo è ciò che penetra l’intero universo. Un campo è contenuto in uno spazio specifico e all’interno di quel campo soltanto alcuni enti possono palesarsi in quello spazio, una particella è il risultato di una vibrazione di quel campo e questo è in linea con la teoria fisica delle stringhe. Le vibrazioni esistono perché c’è un campo, come le onde nel mare esistono perché esiste il mare. Secondo tale teoria di fisica, ogni cosa prende forma dal campo quantistico, quindi le particelle che essenziano tutto, compresi noi stessi. In realtà noi siamo, letteralmente, fatti di particelle le quali, altro non sono che vibrazioni, da ciò consegue che in ultima istanza noi siamo fatti di vibrazioni di campi. Come ci insegna la fisica, i campi non possono scomparire esistono da sempre, attraverso le diverse oscillazioni dei differenti campi, possiamo stabilire ciò che può esistere in un campo e non in un altro e ciò che potrebbe essere avvenuto in passato e che potrebbe ancora avvenire. Attraverso una disamina dei probabili campi è possibile ampliare notevolmente, secondo la fisica teorica, l’interpretazione che abbiamo della natura della realtà. In fisica moderna, la teoria del campo unificato prevede di unificare tutte quelle forze che strutturano il nostro universo/multiverso, cioè le quattro interazioni fondamentali: la forza gravitazionale, la forza elettromagnetica, la forza nucleare debole e la forza nucleare forte, appianando così il grande ostacolo attuale della fisica teorica che è quello di unificare la relatività generale con la meccanica quantistica. Qualora ciò fosse possibile, la cosiddetta teoria di grande unificazione della fisica o GUT (Grand Unified Theory) diverrebbe realtà. Il concetto di campo unificato è direttamente collegato a tale teoria. Naturalmente, tale teoria non nasce per spiegare l’esistenza degli angeli o l’influsso delle dodici costellazioni astrologiche, questa è una mia arbitraria interpretazione ed estensione mistico-religiosa di questa teoria ma che, a mio avviso, può aiutare ad inserire tali concetti mistici all’interno di una cornice più sistematica, strutturata e coerente di quanto non sia diversamente. All’interno di tale campo unificato in cui, e attraverso cui, come abbiamo visto per i campi, l’universo intero esisterebbe, tutto è, beninteso, potenzialmente e teoricamente, connesso e, altrettanto, potenzialmente, in risonanza. In tale “ambiente” quantistico, la distanza non ha più significato, anche se macroscopicamente permane l’illusione dello spazio e del tempo, infatti sulla scala di Planck, che è la misura più piccola di distanza, tutto interagisce in quanto interconnesso. Questo spiegherebbe come entità, anche distinte e distanti possono istantaneamente comunicare tra loro, come ipoteticamente, gli angeli con gli uomini. Ad ogni modo, difficile non vedere tra tali affermazioni della fisica teorica una connessione con l’antica sapienza induista come, ad esempio, il vedānta. Metafisicamente e non avendo quindi i limiti imposti dalla fisica, possiamo andare ancora oltre, prospettando multiversi caratterizzati da leggi fisiche diverse. Chi ci dice che, dato un campo unificato del nostro multiverso regolato dalle stesse leggi fisiche che conosciamo (anche se certamente non le conosciamo tutte), non possa esserci un campo ancora più grande che include quello ed altri campi di altri multiversi, regolati da leggi fisiche differenti, in un insieme ancora più grande come un supercampo quantistico? Tale supercampo sarebbe in grado di connettere più multiversi e quindi entità più o meno, sensibilmente, diverse, strutturate, magari, attraverso leggi fisiche diverse. Se il motivo di relegare angeli, demoni e uomini in generi caratterizzati diversamente, come potrebbe trasparire dai testi antichi induisti, ebraici, cristiani, islamici ed altro, fosse quello di appartenere a multiversi diversi e separati, strutturati su differenti leggi fisiche, tale supercampo, a certe condizioni, non ne impedirebbe le rispettive interazioni. Secondo diversi insegnamenti mistici ed esoterici, induisti ed ebraici, sembrerebbe che tali influssi relativi ai campi quantistici stellari e planetari, siano fortemente interconnessi e, in parte, gestiti da una categoria di entità appartenenti ad un livello coscienziale diverso (almeno allo stato attuale) da quello umano conosciute, appunto, con il nome di angeli o mal’akh, in ebraico biblico, o deva, in sanscrito. Come già detto, tali entità sono conosciute nella tradizione giudaico-cristiana come angeli e in quella induista come deva. Quando viene descritta l’azione di un pianeta nello specificare e caratterizzare un’emanazione monadica, dell’anima, della personalità, ecc…, come nel definire l’assetto energetico dell’individuo, tale azione non è da ricondurre alla materia grossolana di cui è composto il globo in questione ma al campo unificato che permette di mettere in risonanza, annullando lo spazio e il tempo, specifiche stelle con specifici pianeti del sistema solare e di cui specifiche entità angeliche o deviche, ne catalizzano la frequenza in relazione alla specie umana . Una delle fonti tradizionali con maggiori riferimenti all’angelologia, è la conoscenza mistica ebraica definita cabala. In ebraico, il termine “qabbalah” significa “tradizione”, ma anche “ricevere” e naturalmente, si riferisce ad un insieme di conoscenze specifiche tramandate nel tempo. La cabala (cabbala, qabbalah o kabbalah) è l’insieme degli insegnamenti esoterici e mistici relativi all’Ebraismo rabbinico, che erano già diffusi intorno al XII-XIII secolo, ma che raccoglie, sistematizzandole, quelle conoscenze del misticismo ebraico, relativo al periodo del Secondo Tempio ovvero il periodo intertestamentario, una parte della storia d’Israele che va dal 597 a.C. con l’esilio babilonese, sino alla distruzione del Secondo Tempio per opera dei romani nel 70 d.C.. La tradizione ebraica insegna, come la cabala fu trasmessa, inizialmente, oralmente, dai patriarchi e dai profeti. La diaspora ebraica (tefutzah) avvenuta durante i regni di Babilonia e con l’impero romano e quindi l’intervento di pressioni straniere, costrinse i capi spirituali a nascondere le conoscenze contenute nella tradizione cabalistica, per il timore che potessero finire in mani sbagliate e ne venisse, così, fatto un uso improprio. Il rischio era anche quello che gli ebrei, senza la guida dei maestri spirituali ispirati da Dio e spinti dalla curiosità e dal potere, potessero, attraverso un uso scorretto della cabala, attuare quelle che erano definite pratiche proibite. Per questi motivi la pratica della cabala, nell’Ebraismo rabbinico, fu considerata segreta e proibita ai profani o a coloro che non erano autorizzati. La tradizione ebraica, in relazione alla cabala, ricorda come, ancora prima che all’essere umano, Dio, trasmise tale conoscenza agli angeli. Sembra, che il primo essere umano a ricevere tale conoscenza, fu anche il primo uomo, cioè Adamo, che ricevette, si racconta, questa tradizione ancestrale da un arcangelo. Questo accadde dopo l’espulsione dall’Eden, in quanto queste rivelazioni, avevano la funzione di consentire ad Adamo e ad Eva e a tutti coloro che sarebbero venuti successivamente, il ritorno all’Eden ovvero alla pace perduta. Con il tempo gli insegnamenti contenuti nella Cabala andarono persi ma a fasi alterne, sono riaffiorati nella storia del popolo ebraico, per poi scomparire nuovamente. Sembra che la tradizione cabalistica sia stata ritrasmessa al profeta Abramo e perduta ancora durante la schiavitù egizia, per poi riemergere dopo l’esodo dall’Egitto attraverso Mosè. La credenza di sette maggiori arcangeli, è da ricercare nelle antiche tradizioni dell’angelologia ebraica, che ruota, in buona parte, intorno al misticismo cabalistico. Anche se in realtà, tali entità sarebbero compatibili con le dieci sephiroth (termine ebraico plurale, il cui significato fondamentale è “emanazioni”, sebbene il significato del termine singolare, sephirah sia anche, “enumerare”) della cabala.