Gli Avastha (stati di coscienza)

“Il sistema nervoso controlla il resto del corpo, ma più di esso è superiore la mente, superiore alla mente è l’intuizione spirituale. Ancora superiore all’intuizione spirituale c’è il sé.” (Bhagavadgītā, capitolo 3, v.42).

“Colui che è consapevole di quello che accade durante i tre stati di veglia, sogno e sonno profondo,del pensiero, della sua assenza e delle sue perturbazioni, ed è il sostrato stesso dell’ego è ātman.” (Vivekacūdāmani,v.126).

“Nello stato di sogno la mente crea lo sperimentatore e il mondo da sperimentare. Questo succede anche nello stato di veglia, per questo, tutto questo universo è una proiezione della mente.” (Vivekacūdāmani, v.170).

“Durante quella che è la notte per tutti gli esseri viventi, colui che è padrone di sé è sveglio, il momento in cui tutti sono svegli è la notte per il saggio.” (Bhagavadgītā, capitolo 2, v.69).

“Devi, il guru è colui che conosce i cinque stati di veglia, sogno, sonno profondo, il quarto stato (turīya) e ciò che è oltre il quarto stato (turīyatita).” (Kulārnava Tantra, ullasa 13, v. 75).

Il riferimento a dimensioni alternative, nella filosofia metafisica induista, è relativo ad universi dominati dalle stesse leggi fisiche di questo, caratterizzati da un diverso spaziotempo e niente fa intendere diversamente e non alle dimensioni sommariamente definite “sottili” caratterizzate da una materia indefinita diversa, in essenza, da questa, come prospettato, o non diversamente chiarito, da alcune concezioni New Age che vertono intorno ad approssimative e fuorvianti interpretazioni della metafisica induista. Quindi, quando vengono menzionati i loka hindū (termine che peraltro, letteralmente, significa “mondi”, ma nella mitologia induista tali mondi hanno un preciso significato cosmologico, tale per cui, il senso semantico associato è quello di “universi”), il riferimento è a questi universi spaziotemporali alternativi. Vi sono recenti studi di fisica quantistica, che hanno permesso la formazione di interessanti sistemi teorici in linea con alcune conoscenze antiche, come il biocentrismo del medico e scienziato Robert Lanza, esperto di medicina rigenerativa e direttore scientifico della Advanced Cell Technology Company e che recentemente ha deciso di approcciarsi alla fisica quantistica e all’astrofisica, e dell’astronomo Bob Berman (Lanza R. e Berman B., Biocentrismo, Il Saggiatore, Saggiatore, 2015). Più nello specifico Lanza e Berman, nel loro libro Biocentrismo, affermano chiaramente che il loro sistema ha dei punti in comune sia con la scienza classica relativamente agli studi sul cervello (in particolare viene citata la neurobiologia sperimentale) e sia rispetto a specifici principi di alcune filosofie orientali (v. Biocentrismo, Lanza R. e Berman B., Il Saggiatore, 2015, cap. 16 “Che cos’è davvero l’universo? Le risposte della religione, della scienza e del biocentrismo”). Alcune teorie speculative fatte da scienziati vanno nella direzione di una plausibile sopravvivenza della coscienza alla morte del corpo, credenza questa, antica di migliaia di anni e indipendentemente dalle successive implicazioni, contemplata dalla religione, dalla filosofia, dalla metafisica e da tutto l’esoterismo e il misticismo antico. Alcune recenti speculazioni teoriche sul multiverso, sono per alcuni aspetti assimilabili, con le dovute approssimazioni ma con sostanziali similitudini, alla visione dell’esistente come insieme di mondi che coesistono parallelamente, ovvero i loka induisti, e agli stati coscienziali e percettivi umani nella filosofia induista (vedere, ad esempio, l’advaitavedānta, ecc…), conosciuti come chaturavasthā o quattro stati (veglia, sogno, sonno profondo e “quarto stato” o stato spirituale) che sono interpretati nella filosofia induista come stati, oltre che coscienziali, anche dimensionali e di espressione della coscienza (in sanscrito: caitanya), paragonabili a realtà parallele. Questo perché, in linea con alcune interpretazioni teoriche di meccanica quantistica, come appunto il biocentrismo, nella filosofia induista, ad esempio, nel vedāntadarshana (o uttaramīmāmsā), come già detto, e nel Tantrismo settentrionale, sono migliaia di anni che viene specificato che non esiste altra realtà al di fuori della coscienza e che conseguentemente gli “stati di coscienza”, sono anche stati dimensionali o realtà parallele o possibili “universi”, è chiaro quindi come, anche secondo la filosofia induista noi viviamo, letteralmente, in un multiverso o insieme di universi paralleli. Secondo questa filosofia dunque, ogni avasthā o stato coscienziale, ha la sua ragione di essere ed esistere in una realtà spaziotemporale specifica e determinata. I quattro avasthā contemplati dal vedāntadarshana sono: jāgrat avasthā o stato di veglia, svapnāvasthā, stato onirico o di sogno (che la scienza definisce, comunemente, fase REM), sushupti avasthā o stato di sonno profondo (che la scienza definisce, generalmente, fase NREM) ed il turīyāvasthā, stato spirituale o “quarto” stato. Il Tantra va oltre, menzionando anche altri stati oltre al quarto (turīyatita), indicando che possono essere potenzialmente infiniti. Ogni avasthā si collega ad un aspetto specifico di quello che è definito in sanscrito, antahkārana o causa interna o “organo” interno, nel senso che non è percepibile attraverso gli organi di percezione fisici, intesi come grossolani, ed ogni avasthā si collega ad un “mondo” o “universo” specifico, in sanscrito: loka, senza il quale non potrebbe, letteralmente, esistere. Nella filosofia metafisica induista, lo stato di veglia, lo stato onirico, lo stato di sonno profondo e lo stato spirituale, sono tutte realtà dimensionali appartenenti a categorie di mondi o loka differenti e sperimentabili attraverso corpi (kosha) differenti. Lo stato di veglia, il primo stato (contando da questo mondo), jāgrat o vishva, è sperimentabile, secondo tale metafisica, all’interno di un unico mondo (questo) conosciuto come Bhūrloka, il mondo più materiale o tamasico; lo stato onirico, il secondo stato, svapna o taijasa, è sperimentabile all’interno del mondo conosciuto come Bhuvarloka, il mondo emotivo. Lo stato di sonno profondo, il terzo stato, sushupti o prājña, è sperimentabile all’interno del sistema spaziotemporale definito come Svarloka, il mondo mentale; infine lo stato spirituale, il quarto stato, turīya, comincia ad essere sperimentato nel primo dei loka superiori, Maharloka, il mondo dell’Intelligenza Cosmica Divina o Mahat, il prodotto dell’Unione tra Mahapurusha, il Grande Spirito, e Mulaprakriti, la Materia Radice, come descritto dal Sāmkhyadarśana. Il turīyāvasthā si espande e viene trasceso attraverso i mondi superiori successivi a Maharloka, cioè turīyatita, oltre il turīya, anche se il termine turīyatita indica anche quell’esperienza coscienziale la cui comprensione va oltre ciò che nei triloka o tre mondi inferiori (Bhur, Bhuvar e Svarloka) è già di per sé non immediatamente comprensibile, il turīyāvastha, e viene per questo associato all’esperienza monadica connessa a Satyaloka. Esistono altri stati coscienziali superiori, oltre a questi, descritti dal Tantra, ma che qui non tratteremo. Tali stati coscienziali e i loka corrispondenti, sono costantemente interattivi, perché lo spazio (kala) e il tempo (deśa) per la coscienza non sono ostacoli. Il sushuptiavastha, lo stato di sonno profondo è evidentemente associato al tamas guna, nel suo aspetto più profondo da cui origina tutta l’illusione materiale o Māyā, essendo associato al primo dei mondi inferiori, Svarloka nel quale esiste il passaggio tra stati di coscienza più sattvici e stati di coscienza più tamasici, è il luogo in cui comincia la manifestazione della personalità inferiore (jana) e in cui il ricordo spirituale dell’anima o ātman, letteralmente, si addormenta, è il luogo nel quale ha inizio il processo reincarnativo della coscienza nei mondi, definiti, inferiori, nel senso di più tamasici, qui comincia il “sonno dell’anima”. Come ci ricorda la tradizione, tra le altre cose, il Signore del sonno o Ishvaranīdra, è Shiva, in quanto colui che governa il tamas guna, perché il sonno, il torpore, l’obnubilamento sono tutte caratteristiche del tamas. Shiva è colui perciò che ha il potere di risvegliare le anime attraverso quella che viene definita, nel Tantra settentrionale, come āveśa, letteralmente “penetrazione”, una sorta di folgorazione della potenza (śakti) di Shiva nello stato di coscienza del devoto che attraverso una sorta di euforia risveglia il giusto ricordo spirituale dell’anima, perché Shiva è il “Sé profondo di tutti gli esseri viventi” (Mundaka Upanishad cap. 2, 1, 4). Lo stato di veglia o jāgrat, viene fatto corrispondere tradizionalmente al manas, la mente conscia e all’aspetto più superficiale dell’ahamkāra, senso dell’io o ego, cioè il conscio, il livello della consapevolezza individuale, questo stato, come abbiamo visto, è connesso a Bhūrloka, termine che viene approssimativamente e generalmente tradotto come piano fisico o dimensione fisica, nel senso di grossolana e materiale ma che deve essere intesa come quella dimensione percettiva e coscienziale attuale e comunemente condivisa, cioè lo stato di coscienza maggiormente attivo in questa linea spaziotemporale o l’insieme degli eventi del punto specifico nel tessuto spaziotempo in cui trascorriamo la maggior parte della nostra esistenza (o così ci appare). Segue lo stato onirico o svapna, che corrisponde all’aspetto più profondo dell’ahamkāra e all’aspetto più superficiale del citta. Il citta è, come ci spiega anche il Vedāntadarśana, il serbatoio sotterraneo della materia mentale dove, sempre seguendo la filosofia induista, sono contenute le vāsanā o tendenze mentali sotterranee profonde e i samskāra o semi karmici, che devono ancora germogliare, situati in profondità nei chakra. Lo stato dell’antahkārana connesso al livello più superficiale di citta è il subconscio (quello stato coscienziale sotto la soglia di consapevolezza e quindi del conscio, ma un gradino sopra l’inconscio) ed è connesso a Bhuvarloka, termine che indica, genericamente, la dimensione definita approssimativamente, ma comunemente, in certi ambiti, con il termine “astrale” e che in realtà è il primo di tanti (potenzialmente infiniti) mondi con cui la nostra coscienza interagisce, quello più “vicino” o meglio più prossimale e facile da contattare, naturalmente dopo quello di veglia, è il primo livello dello stato onirico, anche se nel multiverso o meglio ad un livello quantistico ma anche, come abbiamo visto, metafisico, lo spazio, quindi le distanze, come il tempo, sono relativi. Il terzo stato, a partire da quello di veglia, è lo stato di sonno profondo o sushupti (notare come in queste correnti antiche già, migliaia di anni fa, veniva evidenziata la distinzione moderna tra la fase del sonno REM e quella NREM) e corrisponde alla parte più profonda della citta, siamo nel regno dell’inconscio, siamo scesi di un gradino rispetto al precedente livello, ovvero sensibilmente al di sotto dell’attuale e più comune soglia di consapevolezza, la zona coscienziale oscura perché sovrastata dal tamas, in cui, appunto si nascondono, in tale oscurità, i semi karmici, samskāra e le relative tendenze profonde e sotterranee, vasana, che, senza esserne consapevoli governano e “decidono” ogni nostro comportamento allo stato di veglia (jagrat) ma anche onirico (svapna), siamo nel regno dell’inconscio, il regno del tamas, il regno di Shiva ma anche degli asura (demoni) di cui Shiva è tradizionalmente Signore. La componente più inconscia della mente comincia, gradatamente, in Svarloka, aumentando in Maharloka ma, da un punto di vista vedantico, la sua sede naturale è Janarloka e il suo corpo l’anandamayakosha. Il sonno profondo sarebbe, in sostanza, l’anticamera ma anche l’ostacolo maggiore al risveglio della parte superiore dell’ātman e conseguentemente del paramātman, in questo senso uno degli appellativi di Shiva è quello di Tripurāntaka, il Distruttore (che pone fine, che termina) le tre “città”, i tre mondi o triloka, i mondi dell’illusione materiale, Māyā, che attua il suo potere illusorio attraverso avaranashakti, il potere velante, oscurante, del tamas guna, dal quale Shiva, Signore del tamas, libera e salva, chiamato per questo anche Shankara, il Salvatore. Nel livello successivo connesso a Maharloka, è quel livello in cui comincia a paventarsi la presenza del quarto stato di coscienza, turīya, lo stato spirituale, oltre il sonno profondo, qui si comincia ad uscire dall’azione soporifera di Māyā e si percepisce un’altra realtà oltre quella comunemente condivisa, alla quale siamo abituati come personalità inferiori. Individualmente, il collegamento di tale condizione con l’antahkārana è conosciuto come buddhi o intuizione spirituale, da cui ha tratto origine il termine Buddha, che significa, letteralmente, connesso alla buddhi ma che viene tradotto come “risvegliato”, anche se a livello del primo corpo (kosha) che ne percepisce l’influsso, ovvero, vijñānamayakosha, o buddhimayakosha, il corpo mentale superiore o dell’intuizione. Viene, ad ogni modo, utilizzato il termine “risvegliato”, per il semplice fatto che, secondo la concezione induista, l’essere umano di Bhūrloka può tornare indietro in, almeno, tre modi dallo stato di sonno profondo (come dalla morte) o attraverso la “via” che lo (ri) porta nel jāgrat avasthā, lo stato comune di veglia, dove l’individuo è connesso al manas e a sthūlāhamkāra (ego fisico) o entrando in Bhuvarloka connettendosi al suo ego sottile, emotivo od onirico (sulshmāhamkāra) oppure attraverso la “via” che conduce al turīyāvasthā, lo stato spirituale e divino, dove l’individuo è connesso all’ātman, al suo Sé superiore, questo è il livello della coscienza conosciuto come superconscio, quello stato della consapevolezza che si espande oltre i mondi caratterizzati dagli stati coscienziali della veglia, del sogno e del sonno profondo. Come è stato detto, questo quarto stato coscienziale è situato in Maharloka e si espande ed aumenta di spessore gradatamente nei loka superiori successivi da Janarloka in poi. Qui oltre i vari ego (fisico, emotivo, mentale) o ahamkāra o alter ego, tra loro correlati, l’individuo (ri) scopre un’autocoscienza maggiore ed espansa che definita anche in termini religiosi è l’anima o ātman e in un senso ancora più elevato lo spirito o paramātman, complessivamente un sé superiore, costituito da differenti aspetti, che non ha le limitazioni del sé inferiore e dove risiede la parte più profonda e antica della nostra autocoscienza, la cui fonte primaria è il paramātman del quale la stessa anima o ātman è un aspetto. Vi è un altro fattore da considerare, all’interno di una visione metafisica induista, rispetto all’esperienza onirica nel suo complesso. Esisterebbe un’altra qualità di sogni che sarebbe in relazione alle esperienze nei cosiddetti pātalaloka, i mondi sotterranei situati inferioriormente a questo stesso mondo, Bhūrloka. Tali mondi sono all’origine del concetto metafisico successivo di Inferno in Occidente e tradizionalmente sono posti inferiormente anche rispetto a quello che permette la comune esperienza di veglia (Bhūrloka) e che è considerato il più tamasico di tutti e sette i mondi, saptaloka. In questi mondi sotterranei, tradotti, come abbiamo visto, nell’Induismo come inferi (nel senso di inferiori, situati in basso) o comunque “luoghi oscuri”, l’esistenza per l’essere umano è ancora più difficile che in questo loka, i patalaloka sono definiti così in funzione di un’azione ancora più massiva del tamas guna, il cui potere è relativo all’oscurità e quindi di una maggiore azione del potere velante dei Māyā. I patalaloka sono connessi ad alcuni chakra che sono collocati al di sotto di mulādhara, ed è possibile entrare in connessione con questi chakra anche attraverso gli stati onirici, per le anime, si oggettiverebbero degli stati coscienziali, associati ad esperienze diverse ma sempre estremamente negative che potremmo tradurre come incubi. Questi stati esperienziali, pur non appartenendo tecnicamente, da una prospettiva vedantica, allo stato onirico vero e proprio, definito svapna o taijasa è relativo a Bhuvarloka, vengono considerati egualmente, rispetto a questo stato di veglia, come sogni, in realtà la loro qualità è consistentemente più pesante ed oscurante anche rispetto ai sogni “tamasici” caratteristici di Bhuvarloka. Al risveglio queste esperienze, oltre a lasciare un senso di malessere generale e generalizzato, penetrano, più o meno insidiosamente, in jāgrat, lo stato di veglia, condizionando negativamente l’esperienza generale di veglia dell’individuo, tali vissuti, potrebbero essere descritti come gli opposti polari di quelli intensamente positivi ed altrettanto invasivi dei loka più spirituali, oltre Svarloka. A questo punto è chiaro come secondo l’Induismo e secondo il Buddhismo, il vero risveglio dal sonno profondo, come dalla morte, non avviene tornando allo stato di veglia ma “risvegliandosi” nel quarto stato, il turīyāvastha. Questa è l’essenza stessa del concetto metafisico orientale d’illusione materiale o Māyā. Ora, relativamente alla filosofia induista, è chiaro anche che per passare da un avasthā all’altro è necessario, sempre secondo il vedānta, un salto dimensionale, ossia un salto coscienziale, possibile solo attraverso pratiche definite e collaudate da migliaia di anni da quella stessa tradizione dalla quale derivano tutte le conoscenze suddette, queste pratiche consolidate sono parte integrante del sistema tradizionale dello yoga, l’Ashtānga Yoga, Rāja Yoga o Yoga Darshana.

Il contenuto è protetto da ©Copyright e dalle Leggi a tutela del diritto d’autore. Non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito o utilizzato in alcun modo senza esplicita autorizzazione dell’autore.