Adesso tratteremo la questione delle nove forze o emanazioni e dell’assetto energetico individuale, attraverso, primariamente, l’aspetto coscienziale soggettivo e mistico del soggetto, in relazione, dunque a quella che può definirsi una prospettiva induttivo-soggettiva. Questo perché, dopo aver esaminato ai capitoli 1 e 2 della presente sezione, qual è il sistema teorico di riferimento che spiega come porsi di fronte a tali concetti, per avere una più completa comprensione del fenomeno in sé, è fondamentale, per definizione, esaminarlo anche da tale punto di vista, data la natura stessa del percorso esoterico-mistico che è quella di essere essenzialmente induttiva. Essendo prevalentemente uno studioso dell’aspetto mistico ed esoterico dell’Induismo, come già detto al capitolo 1 della prima sezione e altrove, tutti gli elementi che possono integrarsi con quest’antica filosofia senza sconvolgerne i paradigmi, attraggono il mio interesse e compatibilmente con la loro maggiore o minore affinità con diversi elementi della metafisica hindū vengono esaminati, studiati e approfonditi, e non importa se tali approcci derivano, ad esempio, da alcune conoscenze della cabala ebraica o da altre correnti che si strutturano intorno a presunti contatti medianici, in quanto, come spiegato precedentemente, considero, per definizione, l’Induismo e le religioni in genere già di per sé fenomeni storici e filosofici che si sono strutturati e traggono la loro principale ragion d’essere, da particolari eventi soprannaturali. Per questo considero, ad esempio, degni di approfondimento molteplici aspetti della teosofia, come della complessa metafisica che si è articolata dalle informazioni di A.A.Bailey, attraverso l’entità definita il Tibetano o Djwal Khul, o da J.Roberts, attraverso l’entità che lei chiamava Seth. Già la conoscenza esoterica introdotta dalla Blavatsky, e la successiva articolata elaborazione della Bailey, in parte si adattano e derivano da numerosi aspetti della tradizione hindū e di quella ebraica. Penso, ad esempio, alla definizione dei primi tre raggi, descritti da A.A.Bailey in questo modo, primo raggio: Volontà o Potere, secondo raggio: Amore-Saggezza, terzo raggio: Intelligenza Attiva, le cui definizioni corrispondono visibilmente alla trinità sacra e fondamentale di: Shiva, Vishnu e Brahmā. Vengono descritte, infatti, nei Tantra, tre shakti o forze fondamentali della creazione, da cui deriverebbero tutte le altre forze. Queste tre forze principali, sono tradizionalmente associate a Shiva, Vishnu e Brahmā e sono, rispettivamente, definite; Ichchhāshakti: la Volontà di essere, Jñānashakti: la Saggezza divina, Kriyāshakti: l’Azione divina (v., ad esempio, Yoginīhridaya Tantra, Prānatoshinī, Rudra Yāmala, Shaktisamgama Tantra). Alternativamente nei Tantra, Ichchhāshakti viene associata quando a Shiva, quando a Brahmā, tale doppia attribuzione credo sia associata al potere creativo di Brahmā ma che non avrebbe alcuna funzione, senza la precedente azione distruttiva operata da Shiva, motivo per cui, la volontà di essere, originariamente, appartiene a Shiva. Queste tre forze primordiali, secondo il Tantrismo, condizionano e qualificano tutta la manifestazione, inclusi gli esseri umani e sono anche, a mio avviso, fortemente in relazione con le prime tre sephiroth della cabala: Keter Elyon: la Volontà primordiale, Hokmah: la Saggezza divina, Binah: la Conoscenza e la Comprensione divina, le corrispondenze tra le tre forze tantriche e le tre emanazioni cabalistiche, direi che è evidente. Le origini antiche di tali tradizioni, sono antecedenti a qualsiasi sistema teorico e filosofico occidentale che si strutturi intorno a tre e poi a sette energie fondamentali universali della creazione. Sia il modello tantrico induista che quello cabalista ebraico, sono i principali modelli da cui origina il sistema delle nove forze descritto in questo libro, sistema, in parte, compatibile con quello dei sette raggi codificato da A.A.Bailey. Infatti, tra i maggiori contributi occidentali, rispetto ad un tentativo di articolazione di queste forze o emanazioni, descritte nell’antichità, è doveroso non dimenticare proprio A.A.Bailey, la quale ha avuto senz’altro il merito di elaborare un sistema che descrivesse sette di queste modalità vibratorie, come abbiamo visto da lei definite raggi, con una sistematizzazione mai riscontrata prima, rendendo, attraverso questo complesso e laborioso lavoro, tali energie maggiormente comprensibili all’essere umano e approfondendo come queste manifestazioni energetiche possono interagire nella specie umana, collettivamente e individualmente. Questo sistema metafisico messo a punto da A.A.Bailey, al quale diversi si sono successivamente ispirati, di chiara derivazione teosofica, è certamente servito ad approfondire ulteriormente certi aspetti importanti, ma l’origine e la matrice di tali concetti metafisici, storicamente e tradizionalmente, sono l’Induismo e l’Ebraismo. Ad ogni modo, la descrizione di nove aspetti fondamentali della creazione e di un aspetto, relativo allo zero divino, come descritto all’ottava sezione, capitolo 3, Messaggi di Shrī Babaji Mahāvatār, che pur rimanendo nascosto, occulto e immanifesto, è la matrice degli altri, dando così lo schema finale di dieci fattori, merita, secondo me, di essere approfondito ed ampliato. Il sistema delle emanazioni o delle forze, qui presentato, si struttura, come accennato, in riferimento, anche, ad un altro modello metafisico antico, ovvero, la forma di Tantrismo definita vāmamārga, sentiero della Shakti o di sinistra, il cui fulcro sono dieci potenze, considerate manifestazioni diverse della Madre divina e definite dashamahāvidyā (per le corrispondenze tra tradizione tantrica ed ebraica, v. schema n.11) le quali, secondo la tradizione tantrica (v., ad esempio, Tantra Chudamani, Kulārnava Tantra) hanno misticamente ed esotericamente, un ruolo determinante nel processo creativo dell’universo e in relazione all’essere umano. Queste dieci shakti, forze, o potenze, tantriche sono significativamente compatibili, anche, con le dieci sephiroth ebraiche. Infine, l’ultimo modello teorico utilizzato per rappresentare le sette forze e la loro interazione ad un livello umano, è quello ayurvedico delle sette tipologie costituzionali di prakruti (sanscrito: natura), che caratterizzerebbero (secondo l’āyurveda) ciascun essere umano e che si strutturano intorno al concetto ayurvedico di tridosha, i tre, fondamentali, principi bioenergetici (vāta, pitta, kapha) collegati ai cinque elementi sottili (ākāsha o etere, vāyu o aria, tejas o fuoco, āpas o acqua e prithvī o terra) e ai triguna (sattva, rajas e tamas), che sono, nell’Induismo, le tre qualità primordiali della materia o prakriti. Oltre alle nove forze, vi è un decimo fattore che è lo zero divino, il quale è equiparabile sia al Brahman (energia cosciente onnipervadente) vedantico, all’Avyakta (immanifesto) del sāmkhya, all’Adrishta (invisibile) del vaisheshika, come all’Ohr Ein Sof (luce infinita) della mistica esoterica ebraica, di cui Keter ne rappresenta l’essenza primordiale nell’universo sephirotico, e chissà che la Luce infinita della cabala ebraica non sia in riferimento alla natura quantistica della Coscienza universale. Nello Zohar, Keter, la prima sephirah, viene definita come “la più nascosta di tutte le cose nascoste”, ed è considerata totalmente incomprensibile all’essere umano, nella tradizione cabalistica si dice anche sia invisibile e incolore. Rispetto a quella che viene definita ottava emanazione e descritta come quella manifestazione della creazione che corrompe le anime umane, tradizionalmente in ambito cristiano associata alla figura di Satana e all’inferno, ha una forte corrispondenza anche in ambito metafisico induista. Mi riferisco a quello che generalmente viene definito pātāla (corrispettivo hindū di “inferi”) e specificato in ambito teosofico come l'”ottava dimensione” o avichi la quale, secondo la concezione hindū di inferi, sarebbe suddivisa in sette dimensioni. Tale rappresentazione trova una spiegazione ancora più dettagliata nella simbologia dei chakra e dei loka, come vedremo alla sesta sezione. Il pātāla non viene paragonato all’ottava dimensione casualmente, ma proprio in relazione ai sette chakra e ai sette loka. La tradizione ricorda infatti che, dal momento che ogni chakra è associato ad un loka specifico, “inferiormente” al primo chakra, quello legato a Bhūrloka, quindi al mondo fisico terreno, cioè quello considerato più grossolano, si trovano altri sette centri associati, ciascuno, ad un inferno, ciascuno più tamasico dell’altro, definiti, come abbiamo visto, nell’Induismo, pātāla. Si dice che tutti i pātāla o “inferni” si manifestino grazie all’ottavo mondo, sfera o dimensione che si colloca, idealmente, ancora più in “basso” rispetto al settimo piano, piano fisico o Bhūrloka. L’ottavo mondo o universo è il primo pātāla, cioè il primo dei sette “inferni”, partendo dall’alto. Si dice anche che la coscienza umana per connettersi a questo pātāla, che apre l’ingresso agli altri sei, descritti come più pericolosi e terrificanti, deve polarizzarsi in un ottavo “chakra” la cui collocazione virtuale è situata inferiormente al mūlādhāra, chakra, quest’ultimo, la cui corrispondenza fisica (kshetram) posteriore sono le quattro vertebre coccigee. I testi sacri aggiungono anche che la coscienza dell’essere umano non dovrebbe mai finire nei pātāla, bensì ascendere rispetto al primo chakra (mūlādhāra) connesso a questo mondo e a questo universo. In questa rappresentazione simbolica, il significato dell’ottava emanazione e il potente effetto distorsivo che ha sulle altre sette (non la nona, come vedremo) vi si inseriscono appieno. Essendo tale emanazione quella che viene connotata più negativamente, almeno in relazione all’essere umano, è, apparentemente, di difficile compatibilità con il fenomeno degli avatāra. Ma in una prospettiva più ampia ogni aspetto nella metafisica induista, inclusi gli asura o demoni, è in relazione con il Divino e quindi necessario al Tutto. Fedelmente a tale visione, è da considerare che in altri ambiti, più cosmici e universali, l’ottava forza deve avere, per necessità, una funzione essenziale e vitale rispetto all’universo (anche se dal momento che stiamo parlando di molteplici dimensioni sarebbe più consono utilizzare il termine multiverso), nello specifico al pianeta Terra e all’essere umano. Essendo tale energia comunque indispensabile alla creazione, come ogni altra emanazione o forza, deve, coerentemente, essere catalizzata attraverso un fenomeno avatarico, come gli altri aspetti. Il termine avatāra che significa “discendere”, letteralmente, in un corpo umano, per tale caratteristica ha senso primariamente all’essere umano. Tutte le diverse sfumature dell’energia Divina che entrano in contatto con l’essere umano e attraverso le quali ciascun uomo e ciascuna donna fanno esperienza, devono, per questa loro funzione nel contattare l’umanità, o prima o dopo, relativamente a cicli specifici, manifestarsi nel regno umano attraverso corpi umani. Che poi, tale manifestazione avatarica, non sia di facile comprensione per l’essere umano, in genere, questo è un altro discorso. Tale particolare manifestazione potrebbe essere equiparata alla figura dell’anticristo della tradizione cristiana. Soltanto nel caso in cui l’ottava emanazione non entrasse più in contatto con i corpi mentali, emotivi e fisici degli esseri umani, tale discesa avatarica si rivelerebbe inutile, ma non è questo il caso. L’ottava emanazione ha una forte corrispondenza con quelle che in ambito cabalistico vengono definite qliphoth, le identità distorte delle sephiroth, appartenenti al regno del male definito, nel misticismo esoterico ebraico, “sitra achra” (aramaico) o “altra parte”. Qliphoth, qelipot o kelipot, è un termine ebraico che tradotto significa “scorze”, “bucce”, “involucri”, “rivestimenti”, “tugumenti”, “gusci”. Vi è una sensibile somiglianza e analogia, tra le qliphoth ebraiche, intese come distorsioni nel “male” delle sephiroth e i pātāla hindū, intesi come distorsioni nel “male” dei loka. Ora è necessario riallacciarsi al primo capitolo “Materialismo hindū e alter ego”, della presente sezione. Seguendo la prospettiva di questo libro che fa riferimento alla teoria dei molti mondi e ad una concezione di pluralità di universi, diversamente interagenti, è inevitabile collegare le nove forze o emanazioni fondamentali, con tale prospettiva e per farlo è necessario mettere in relazione queste forze con i sette loka e i sette pātāla. Come ci ricorda il fisico Michio Kaku (Kaku M., Mondi paralleli, Codice edizioni, 2006), ogni mondo potrebbe essere distinto da un altro mondo, non in fase con lui, da una grande differenza di energia che proporzionalmente, farebbe vibrare le onde di ciascun mondo a differenti frequenze, e sarebbe proprio questa differenza ad impedire ad ognuno di percepire altre realtà. La realtà fisica, prosegue Michio Kaku nel suo libro, coinciderebbe con la specifica frequenza del nostro universo su cui noi siamo, necessariamente, sintonizzati. Traslando tutto questo alle nove forze suddette, e tenendo presente che sia le shakti del Tantrismo come le sephiroth dell’Ebraismo, sono, per tradizione, fortemente connesse al suono, alla luce, quindi a fenomeni ondulatori, alla vibrazione e alla frequenza, come precedentemente visto (vedere, ad esempio, il capitolo “Preludio”, prima sezione), l’analogia è che tali forze o emanazioni, altro non sarebbero che nove fondamentali frequenze connesse sia ai sette loka (sephiroth) che ai sette pātāla (qliphoth), a queste nove forze ne andrebbe aggiunta una decima, totalmente immanifesta e inconoscibile relativa allo zero, Ohr Ein Sof, Avyakta, Brahman o Adrishta, tentiamo ora l’analogia. Premesso che le onde di ciascun mondo (loka o pātāla) vibrano a frequenze diverse e che le nove emanazioni rappresentano frequenze specifiche, da una prospettiva esoterica, ciascuna emanazione è collegata ad un loka specifico e a tutta la categoria di mondi ad esso appartenenti, e sarebbe proprio quella particolare frequenza a definirne la realtà fisica. È naturale che tutti gli individui appartenenti ad un loka, o pātāla, specifico, sarebbero in coerenza quantistica (come vedremo, questo è vero rispetto alla sfera cosciente dell’individuo ma sempre meno, mano a mano che passiamo dal livello conscio della mente, a quello subconscio, sino ad arrivare, a quello inconscio e superconscio) con l’emanazione relativa a quel mondo, ovvero, sintonizzati su di essa, e in decoerenza (idem) rispetto alle altre emanazioni e questo impedirebbe agli abitanti dei rispettivi mondi di percepirsi l’un con l’altro e di ritenere il loro mondo, loka o pātāla, l’unico reale. Ma se queste forze sono nove, perché i loka sono sette? Perché, le prime sette forze caratterizzano i sette loka e l’ottava, per definizione, i pātāla o inferni. Per comprendere dove si situa la nona forza è necessario, fare ancora riferimento all’Induismo. Secondo l’Induismo, non esiste male, per quanto profondo e abissale, che non sia sondabile da Shiva, l’aspetto del Divino della trasformazione e della distruzione, per questo, sia Vishnu e sia Brahmā, racconta la tradizione hindū, quando il male supera certi limiti e si fa tremendamente potente, è a lui che loro e tutti i deva chiedono aiuto, e per questo è l’unico ad essere conosciuto anche come signore degli asura (demoni) e definito nella sua forma di Rudra, Vastopati, custode del Vastu, il dharma dell’universo, così definito nel Rig Veda. Nella metafisica induista, in particolare nel Tantrismo, Shiva è quell’aspetto del Divino che è il punto di congiunzione tra la dualità bene e male, angeli e demoni, dharma e adharma. Inoltre Shiva, è quell’aspetto che, pur restando alle spalle di Brahmā, il Creatore, è quello che permette, ad egli, di creare, attraverso la distruzione di tutto ciò che non serve, che non sarebbe in sintonia con la nuova creazione, quindi come ultimo anello di una catena precedente e primo di quella successiva, ovvero di un nuovo ciclo creativo, motivi per cui è a lui che vanno associate sia, ovviamente, la prima forza ma sia, anche, la nona. La nona, infatti, come vedremo più avanti, è una forza estrema e incomprensibile rispetto alle altre emanazioni, si dice che entri dentro ad ogni forma di male e lo attraversi senza subire alcun tipo d’interferenza, in sostanza, l’ottava forza non ha potere di distorsione sulla nona, a differenza delle altre sette. Associare dei mondi specifici alla nona forza è difficile proprio per la sua particolare natura non conforme né ai loka e neanche ai pātāla, la metterei in relazione più con degli spazi interdimensionali o con dimensioni fuori dalla nostra comprensione. Differente è per le altre otto forze che, invece, sono compatibili sia con i sette loka che con i sette pātāla, in questo modo:
– I forza o emanazione: Satyaloka
– II forza o emanazione: Taparloka
– III forza o emanazione: Janarloka
– IV forza o emanazione: Maharloka
– V forza o emanazione: Svarloka
– VI forza o emanazione: Bhuvarloka
– VII forza o emanazione: Bhūrloka
Ora, dal momento che l’ottava forza ha la capacità, come spiegato dettagliatamente più avanti, di distorcere in modo differente, ciascuna delle sette forze, l’azione è la seguente:
– VIII/I forza o emanazione: Atala-loka
– VIII/II forza o emanazione: Vitala-loka
– VIII/III forza o emanazione: Sutala-loka
– VIII/IV forza o emanazione: Talātala-loka
– VIII/V forza o emanazione: Rasātala-loka
– VIII/VI forza o emanazione: Mahātala-loka
– VIII/VII forza o emanazione: Pātāla-loka
Le corrispondenze evidenziate all’elenco sopra, fanno emergere un aspetto molto importante, relativo sia alla tradizione hindū, sul vero significato di loka e di shakti o vidyā, e sia rispetto alla tradizione esoterica ebraica su quello di sephiroth, che conseguentemente, va traslato al senso profondo delle forze o emanazioni. Non esiste un loka migliore di un altro in senso assoluto, come non esiste una sephirah migliore di un’altra, o una vidyā superiore ad un’altra, rappresentano in tutti i casi modalità vibratorie diverse di un’unica Coscienza universale e, in tutti i casi, ogni modalità è considerata indispensabile sia alla Coscienza nel suo complesso e sia alle altre modalità. Anche se, tradizionalmente nell’Induismo come nell’Ebraismo, viene fatta una distinzione tra mondi più spirituali e mondi più materiali, così come per le sephiroth, andando avanti nello studio approfondito dei testi sacri ed esoterici delle rispettive tradizioni, si comprende chiaramente, come tale distinzione serve solo all’essere umano, soprattutto per circoscrivere il suo campo di azione a ciò che manca o serve in questo mondo (Bhūrloka o Malkuth), o in questa categoria di mondi, per completare il suo percorso qui e quindi elevarsi, ma in un senso più vasto, sia le sephiroth che i loka o le vidyā, sono, tradizionalmente, considerati aspetti imprescindibili l’uno rispetto all’altro e indispensabili per l’esistenza stessa dell’essere umano. Il male, o distorsione coscienziale, non è prerogativa dei loka più materiali, delle sephiroth inferiori, come di alcune mahāvidyā. Il concetto di male, in tutti e tre i casi, viene rappresentato da aspetti diversi ed estranei ai sistemi principali, non si ritrova né in una delle dieci sephiroth, né in uno dei sette loka e né in una delle dieci mahāvidyā. Nel caso delle sephiroth è rappresentato dalle qliphoth, i gusci che circondano le sephiroth, nel caso delle mahāvidyā dagli asura, o demoni, e nel caso dei loka dai pātāla. Infatti lo schema n.11, mette in evidenza come esiste una specifica distorsione per ogni loka, da quello considerato più spirituale (Satyaloka) a quello più materiale (Bhūrloka), in ciascun loka alberga, in potenza, una specifica forma di male esclusiva di quel loka e ad ogni loka corrisponde letteralmente un inferno o pātāla, così come ogni sephirah, nessuna esclusa, può subire l’azione delle corrispettive qliphoth. Da ciò consegue che di ciascuno dei sette loka esistono linee spaziotemporali negative (sempre rispetto allo sviluppo e alla relativa espansione della coscienza umana). Tale concetto esoterico, come vedremo, è quello utilizzato anche per definire le sette forze o emanazioni e l’azione dell’ottava su ciascuna di esse. Si può affermare che, in ultima istanza, esiste una specifica distorsione per ognuno dei tre guna, sattva, rajas e tamas e, allo stesso tempo, che tutti e tre siano indispensabili alla creazione e alla sua espansione, in quanto veicoli di caratteristiche uniche, insostituibili e alla base delle stesse emanazioni, come dei loka. Rispetto ai mondi relativi alle qliphoth, ai pātāla e all’ottava forza, una delle corrispondenze più esplicative è quella alla nota n.113 del capitolo “Linee temporali, wormholes e incarnazione”, terza sezione, in cui vengono descritti i loop spaziotemporali, a cui rimando. Ognuno di questi quattordici mondi (sette loka e sette pātāla) sarebbe caratterizzato, rispettivamente, da quattordici frequenze diverse (prodotto delle otto frequenze primarie) che sarebbero in decoerenza l’una con l’altra e relative a quattordici stati quantistici, distinti, separati, e a condizioni normali, debolmente interagenti (almeno ad un livello consapevole o rilevabile) tra loro, ma tutti e quattordici, mondi “fisici”. Anche se ogni mondo è caratterizzato da una specifica frequenza corrispondente ad una delle sette forze, come vedremo, nello specifico, più avanti e al capitolo successivo, ogni essere umano, secondo tale prospettiva, è a sua volta caratterizzato da forze specifiche di cui, a questo stadio evolutivo, quella principale è quella dell’ātman o anima, principale nel senso che le altre sono forze, cioè frequenze, secondarie emanate da quest’ultima. Come conciliare questi due aspetti? Non è stato detto che ogni emanazione caratterizza un loka specifico, quindi una stessa categoria definita (potenzialmente infinita) di mondi e che per partecipare della realtà fisica di un mondo, dobbiamo essere sintonizzati sulla sua frequenza? E come facciamo ad essere sintonizzati sulla frequenza dello specifico mondo in cui abitiamo, se la nostra emanazione caratterizzante (che definisce, in esoterismo, il nostro temperamento più profondo), è differente da quella che qualifica quel mondo? Vibriamo tutti alla stessa frequenza? In parte si, ma vi sono correlazioni quantistiche legate più specificatamente all’individuo singolo, in funzione del suo personale percorso come un sistema differenziato e specifico d’informazioni quantistiche che viaggiano nell’universo, all’interno della loro funzione d’onda, nell’ampiezza delle loro probabilità. Se così non fosse, il concetto di assetto energetico individuale o temperamento esoterico individuale, non avrebbe alcun senso, ma non è così semplice. Naturalmente, stiamo parlando del livello quantistico della materia, aspetto che non va dimenticato. Esiste un campo quantistico unificato primario che racchiude tutte le infinite possibilità di tutti i mondi, all’interno del quale, attraverso collassi d’onda specifici si producono stati quantistici precisi, in uno di questi collassi, ammettiamo, si sia oggettivato lo stato quantistico del nostro mondo, con la sua frequenza specifica. Questo significa che il nostro pianeta è totalmente sconnesso da tutte le altre frequenze che caratterizzano tutti gli altri probabili stati? No, se l’origine è la stessa, ci dice il principio dell’entanglement (v. Appendice n.2), tutti questi mondi provenendo dallo stesso campo primario, saranno eternamente collegati, per quanto tali collegamenti possono non apparire così evidenti, e questo non riguarda solo il nostro mondo, ma tutto l’universo al quale apparteniamo. Tutte queste frequenze, per quanto siano in uno stato di decoerenza tra loro, in funzione della loro comune origine, s’influenzerebbero reciprocamente. Come s’inserisce il concetto di assetto energetico individuale, in questo contesto più generale? Ovviamente ciascuno di noi, se ipotizziamo che questo sia un mondo appartenente a Bhūrloka, come ci dice l’Induismo, in base a quanto detto, per poter percepire questa realtà fisica (e non percepire, se non indirettamente, le altre realtà alternative: Bhuvarloka, Svarloka, Maharloka, ecc…), dobbiamo vibrare all’unisono con la settima frequenza, forza o emanazione, quella associata a Bhūrloka. Ma questo non significa che non possiamo interagire, ciascuno, più o meno inconsapevolmente, con altri mondi paralleli, quindi con altre forze, attraverso le modalità precedentemente descritte. E con quali mondi interagiremmo, eventualmente? Ciascuno con gli stessi mondi alternativi? Qui entra in gioco, il senso metafisico di assetto energetico individuale legato ai loka. Se un individuo di questo mondo, quindi sintonizzato sulla settima forza, ha un corpo fisico (annamayakosha) di seconda emanazione, questo indicherebbe che i mondi con i quali, tale corpo (ovvero, la coscienza fisica), dal suo mondo, cioè questo (Bhūrloka), avrebbe una maggiore interazione, sarebbero quelli, la cui frequenza ha subìto una modificazione nella direzione della seconda forza, compresi i mondi in cui vi è una maggiore presenza di questa forza ma distorta dall’ottava emanazione, quindi appartenenti ai pātāla, dunque inferiori a Bhūrloka stesso (sempre relativamente allo stato di coscienza) ma non è sufficiente dire questo, in funzione del concetto hindū, di diversi corpi alternativi (ad essere precisi l’anima stessa, comunemente intesa, sarebbe la correlazione quantistica tra tre corpi distinti: vijñānamayakosha o buddhimayakosha, anandamayakosha e ātmamayakosha, abitanti in tre mondi diversi, come vedremo alla sesta sezione). Tutti i vari corpi (kosha), come vedremo, vibrano ad una frequenza specifica, oltre a quella del mondo corrispondente, e sono caratterizzati, dunque, da una delle sette forze, mi riferisco al corpo definito fisico (ma solo perché connesso ad un mondo considerato più materialista degli altri, cioè con una maggior quantità di tamas guna), o annamayakosha-prānamayakosha, ma anche al corpo emotivo (kāmamayakosha), al corpo mentale (manomayakosha) e a quelli successivi. Da ciò consegue che, premessa correlazione quantistica tra ognuno di questi corpi, o kosha, nei loro mondi, Bhuvarloka per il corpo emotivo, Svarloka per il corpo mentale, Maharloka per il corpo buddhico, ecc…ognuno di questi corpi (kosha), oltre ad essere sintonizzato con la frequenza del suo specifico mondo (Bhuvarloka: sesta emanazione, Svarloka: quinta emanazione, Maharloka: quarta emanazione, ecc…), sarebbe a sua volta coinvolto in un insieme di relazioni relative alla specifica forza che lo caratterizza, e tutti i corpi insieme, formerebbero una rete complessa e articolata di relazioni e interazioni di difficile decifratura. Alla fine i corpi (kosha) di ognuno di noi, sarebbero coinvolti nel sistema di relazioni associato alla specifica frequenza della monade, il paramātman, e al suo mondo Satyaloka, caratterizzato dalla prima forza o Keter Elyon. La definizione di Divino, nella metafisica hindū, come nella cabala ebraica, è molto più complessa ed articolata di quello che comunemente si crede, e così comprendere, esotericamente e misticamente, dove ognuno di noi si colloca in questo universo. A questo proposito, è interessante il concetto di assetto energetico individuale, o temperamento esoterico, che ho cercato di approfondire ed elaborare rispetto a tali tradizioni, il quale si struttura a partire dalle prime otto emanazioni e dai pianeti del sistema solare, e che chiarisce come tali energie entrano in diretto contatto con l’entità umana e ne strutturano il temperamento fondamentale, traslando gli otto aspetti ad un livello, direi, immediato di percezione e di comprensione umana (il nono aspetto rimane, generalmente, fuori dalla portata dell’essere umano). L’assetto energetico individuale umano strutturato sulle otto emanazioni o forze, fornisce una buona spiegazione del motivo per cui l’Induismo è l’unica tradizione che insegna come ogni essere umano, in funzione della sua specifica natura, dovrebbe adorare l’aspetto del Divino che più gli si confà, e il motivo per cui, nell’Induismo, vi sono così tanti aspetti diversi del Divino. Naturalmente, senza perdere di vista che alla base, come insegnano le Upanishad, il Divino è Uno. Questi sono alcuni degli elementi, compatibili con l’Induismo e con la cabala ebraica, degni di una certa riflessione che verranno, in parte, approfonditi nel corso della presente sezione e della successiva. Il sistema delle nove forze o emanazioni crea, a mio avviso, una certa continuità con le informazioni che sarebbero state date in un recente passato, come quelle relative a H.P.Blavatsky, ad A.A.Bailey o a J.Roberts, e non un punto di rottura, per quanto questo specifico schema teorico, il quale si basa principalmente sulla tradizione hindū e in parte ebraica, faccia particolare riferimento, anche alla teoria MWI, di Everett III, come a tutti quei modelli conoscitivi che si sviluppano a partire da teorie scientifiche che siano compatibili con tale schema. Uno dei motivi principali per cui il concetto metafisico hindū, ed in parte ebraico (vedere, ad esempio, le accezioni di nefesh, ruach e neshamah, nella tradizione ebraica, al capitolo La reincarnazione, seconda sezione), di corpi sottili, per come comunemente interpretato da molte correnti, di matrice mistica ed esoterica, più o meno recenti, non è conforme alla prospettiva presentata in questo libro. Già Jane Roberts, nei suoi scritti (ad esempio: Roberts J., Dialoghi con Seth, Edizioni Mediterranee, 1986. Roberts J., Le comunicazioni di Seth, Edizioni Mediterranee, 1997) descriveva l’esistenza di più personalità incarnate (in corpi fisici) in sistemi spaziotemporali alternativi l’uno rispetto all’altro, simultaneamente interagenti, specificando come, tali personalità, fossero frammenti, ciascuna, di un’unica identità in grado di agire attraverso, appunto, una realtà multidimensionale, di come tutte queste differenti personalità, ad un livello spesso inconsapevole (ad esempio attraverso l’esperienza onirica), interagissero l’una con l’altra, influenzandosi reciprocamente e di come, tali esperienze multiple, avessero l’unica funzione di arricchire ed espandere la consapevolezza dell’anima e quindi, alla fine, convergessero in essa. Indipendentemente che si creda che tali informazioni derivassero da un aspetto inconscio o superconscio della Roberts o che, come lei stessa sosteneva, fossero informazioni provenienti da un’entità esterna di nome Seth, che aveva scelto lei come canalizzatrice, poco importa, ai fini di questo trattato, data, a mio avviso, la consistenza di tali informazioni, alla luce di come i nuovi paradigmi interpretativi di riferimento convergono sempre di più verso la possibilità dell’esistenza di un universo pluridimensionale. Stesso discorso a mio avviso, sebbene per motivazioni diverse, va fatto per Helena Petrovna Blavatsky e per Alice Ann Bailey. Canalizzazioni più recenti, sembrano convergere verso entrambe le direzioni, sia rispetto alla visione metafisica prospettata a suo tempo da H.P.Blavatsky ed ampliata da A.A.Bailey, ad esempio, con il sistema dei sette raggi, e sia rispetto alla visione multidimensionale di più personalità interagenti contemporaneamente in più sistemi spaziotemporali, parti limitate di un’unica coscienza, di J.Roberts, sebbene arricchite di nuove informazioni ed elaborazioni in linea con i tempi. Alcune di queste recenti canalizzazioni sono state inserite nella settima e nell’ottava sezione. Sembra, attraverso uno studio approfondito di tutti e quattro i sistemi, Blavatsky, Bailey, Roberts e quello rilevabile da queste, relativamente, nuove canalizzazioni, che, sebbene vi siano alcune differenze, a mio avviso marginali, la matrice di fondo sia una e la stessa, e probabilmente è così anche per altri (ma assolutamente non tutti) fenomeni che io definisco di confine (in mancanza di una specificazione migliore ed esaustiva) come quelli medianici. L’attenzione verte su questi quattro perché sono quelli nei quali ho riscontrato le informazioni più interessanti rispetto ad uno studio esoterico di certi fenomeni, così come da un punto di vista completamente diverso, ho rilevato interessanti modelli teorici la teoria MWI di H.Everet III, il biocentrismo di R.Lanza e B.Berman, la Orch OR theory di S.Hameroff e R.Penrose, certe teorizzazioni di M.Kaku, D.Deutsch, ed altri. Per procedere oltre è necessario comprendere che, anche se tratterò, principalmente, per i motivi suddetti, le emanazioni per come vengono esperite dal soggetto, che noi definiamo emozioni, mente, anima, in realtà, in questa prospettiva, tali aspetti esperiti soggettivamente potrebbero essere interpretati come risultato di specifiche correlazioni quantistiche tra i nostri alter ego, abitanti di mondi alternativi attraverso un processo interazionale di reciprocità. Ovvero, noi, come ego di questi corpi fisici, o annamayakosha, da questa dimensione definita, nella tradizione induista, Bhūrloka, condizioniamo, a nostra volta, in qualche modo, con la nostra frequenza specifica, gli alter ego con i quali siamo in interazione, di Bhuvarloka, di Svarloka, ed oltre, nell’ottica che trovarsi nel Bhūrloka non indica affatto essere meno evoluti spiritualmente di chi abita mondi emotivi e mentali, secondo il concetto per cui, avere frequenze diverse non significa, necessariamente, essere migliori o peggiori. Il concetto di fondo è che tutti questi ego, sono, ad un livello superiore, tutti la stessa medesima entità e qui entra in gioco il concetto di anima (ātman) e di monade (paramātman). Per quanto, l’anima, o ātman, stessa sia costituita di corpi (kosha), già al suo livello, la relazione tra questi diversi aspetti animici si fa sempre più consapevole e intensa, e la percezione della frammentazione diminuisce sensibilmente, tale percezione comincia dal livello di Maharloka, sino ad arrivare all’identità ultima, il paramātman, in Satyaloka. Ad ogni modo, Bhūrloka non è necessariamente negativo, il tamas, caratteristica di questo loka, dà stabilità e consolidamento ed è una caratteristica fondamentale alla creazione che in altri loka può essere carente, è solo ad un livello negativo che, il tamas, si manifesta come schiavitù della natura inferiore. In realtà, come già detto, non esiste un guna migliore di un altro all’interno dei tre mondi considerati inferiori, forse un discorso diverso va fatto rispetto ai tre loka superiori, Janar, Tapar e Satyaloka. Il problema nei tre mondi definiti inferiori è che forme diverse di tamas tendono a dominare, ma la condizione perfetta è l’equilibrio tra i triguna, tendenza che sembra essere maggiormente presente, secondo i testi sacri, nei tre loka superiori e che comincia da Maharloka. Ma è proprio all’interno di questa concezione che il sentiero spirituale acquisisce il suo significato più profondo ed universale, perché ogni ego (ahamkāra) migliorando e purificando se stesso, in virtù di questo sistema di relazioni, purifica quelli che identifica come corpi sottili, emotivo e mentale o, per dirla con l’Induismo, kāmamayakosha e manomayakosha, e inconsapevolmente, aiutiamo i corrispettivi alter ego ad aumentare la propria consapevolezza spirituale, e viceversa. Perché anche noi da questo mondo siamo un frammento della coscienza del paramātman che ci accomuna agli altri ego, ma semplicemente ad un livello diverso che potremmo definire più “fisico”, più “denso” e più ricco di tamas guna. L’obiettivo fondamentale che dobbiamo cercare di raggiungere è quello della continuità di coscienza, come precedentemente espresso, perché come non siamo consapevoli di diversi livelli del nostro io, che agiscono ad un livello subconscio e inconscio, corrispondentemente, non siamo consapevoli durante lo stato onirico o di sonno profondo, momenti in cui, generalmente, si verificano interruzioni di coscienza e così ci sentiamo separati da questi altri “noi”, ma in realtà l’identità è una. Tale identità è però sperimentabile solo ad un livello di consapevolezza, allo stato attuale, molto “distante” e difficile da raggiungere. A tale proposito ricordo un versetto di un testo sacro hindū che recita:
“Devi, il guru è colui che conosce i cinque stati di veglia, sogno, sonno profondo, il quarto stato (turīya) e ciò che è oltre il quarto stato (turīyatita).” (Kulārnava Tantra, ullasa 13, v. 75)
E ancora:
“Colui che è consapevole di quello che accade durante i tre stati di veglia, sogno e sonno profondo, del pensiero, della sua assenza e delle sue perturbazioni, ed è il sostrato stesso dell’ego è ātman.” (Vivekacūdāmani, v.126).
Noi siamo uno di diversi ego, simultaneamente incarnati in linee spaziotemporali diverse dello stesso pianeta, tali linee spaziotemporali si trovano in diversi loka e, conseguentemente, in yuga diversi ma l’identità primaria, monade o paramātman è una, solamente non ne siamo, o non ne siamo del tutto, coscienti. Tale consapevolezza è relativa al livello spirituale non solo di un singolo ego, ma di tutti i suoi diversi ego, ed è scandita da quello che, in ambito mistico ed esoterico antico, viene definito percorso iniziatico. Ma entriamo maggiormente nel merito, ogni alter ego di una stessa monade, è caratterizzato, come abbiamo visto, da una delle sette forze ed è sottoposto all’azione costante dell’ottava forza rispetto alla quale deve riuscire a resistere, in quanto sfrutta le debolezze insite ad ogni alter ego e connesse profondamente al singolo karma di ciascuno di essi, che trovano la loro unità e sintesi nell’antico karma monadico. L’emanazione caratterizzante ciascun alter ego, interferisce attraverso la sua manifestazione positiva o distorta sugli altri, in funzione di quanto l’ottava forza è commista con essa, quindi un alter ego, rispetto ad un altro, può favorire o ostacolare il suo lavoro di purificazione, ma nessun alter ego può decidere definitivamente il destino degli altri e qui entra in scena il libero arbitrio di ogni singolo alter ego. L’azione globale di tutti gli alter ego interferisce, poi, in ultima analisi, nel bene e nel male, con l’evoluzione della monade. Lo specifico influsso dell’alter ego di Bhūrloka, è determinato, come vedremo, da quella che viene definita, in ambito esoterico, come emanazione del corpo eterico-fisico (prānamayakosha-annamayakosha), l’influsso dell’alter ego di Bhuvarloka dall’emanazione del corpo emotivo (kāmamayakosha), quello dell’alter ego di Svarloka, dall’emanazione del corpo mentale (manomayakosha), quella dell’alter ego di Maharloka, dall’emanazione del corpo intuitivo (vijñānamayakosha o buddhimayakosha), quella dell’alter ego di Janarloka, dall’emanazione del corpo beatifico (anandamayakosha), quella dell’alter ego di Taparloka dall’emanazione del corpo volitivo (ātmamayakosha), tutti sono condizionati dall’emanazione della monade (paramātman), proveniente dal suo mondo in Satyaloka. La percezione condivisa del proprio sé tra gli alter ego appartenenti a Bhūrloka, Bhuvarloka e Svarloka è determinata da quel fattore definito come emanazione dell’ego inferiore, ma esiste anche un ego superiore che qui non tratteremo, risultante dalla reciproca interazione tra gli alter ego appartenenti a Maharloka, Janarloka e Taparloka, entrambi gli ego, inferiore e superiore (accezione utilizzata per distinguerli l’uno dall’altro, ma sono tutti e due componenti fondamentali per la monade, anche se quello inferiore, nel corso dell’evoluzione, si risolve poi in quello superiore, immettendo la sua qualità specifica) si risolvono nell’identità monadica. Questo, in linea di massima, senza considerare altri fattori secondari. A.A.Bailey, però nei suoi testi, oltre ai corpi distinti, scrive di un raggio della personalità inferiore e di un raggio dell’anima, così come altre fonti, specificano l’esistenza e l’importanza di questi due aspetti, come interpretarli alla luce di quanto detto? Mentre la forza che caratterizza ogni singolo alter ego definisce la sua natura fondamentale, l’emanazione della personalità (jana), determina la natura della frequenza che connette due alter ego con noi (ego fisico o coscienza fisica), cioè quelli con cui siamo fondamentalmente più connessi, l’alter ego “emotivo” e quello “mentale”. L’emanazione che caratterizza l’anima nel suo complesso è, quindi, il tipo di frequenza che connette gli alter ego “intuitivo”, “volitivo” e “percettivo”. In sostanza, ammesso che esistano tali alter ego e ammesso che interagiscano tra di loro, queste due emanazioni (della personalità e dell’anima) definiscono la forza, l’intensità, il ritmo delle diverse correlazioni quantistiche tra i corpi, sono una sintesi finale della natura di tali correlazioni tra alter ego. Nel corso dell’evoluzione l’emanazione della personalità (jana) si risolve in quella dell’anima (ātman), come l’ego inferiore in quello superiore e tutto si risolve, alla fine, nella monade (paramātman). Da ciò consegue che vi sono due modi per intendere il concetto di personalità (jana) come quello di anima (ātman), e sono intimamente correlati, il primo è quello di definire il tipo di frequenza che caratterizza le interazioni tra alter ego, e il secondo è una diretta conseguenza del primo, intendo dire che ciascun ego dei tre loka più materiali (Bhūrloka, Bhuvarloka e Svarloka), ad esempio, ha un suo corpo fisico, delle emozioni e una mente, ma tali fattori sono il risultato delle interazioni continue tra questi alter ego, quindi si può anche affermare che ognuno di essi ha una “personalità” della stessa emanazione degli altri, personalità che interferisce con ognuno, peculiarmente, relativamente alla particolare emanazione che lo qualifica, non è dunque sbagliato chiamare ogni singolo alter ego di Bhūrloka, Bhuvarloka e Svarloka anche come tre personalità “inferiori” distinte, tenendo sempre presente però che, tecnicamente, per personalità (jana) s’intende, nella metafisica induista e nell’esoterismo in genere, l’interazione tra i tre corpi più materiali, definiti inferiori, ovvero, annamayakosha, kāmamayakosha e manomayakosha con i rispettivi ego o ahamkāra. Questo è vero anche per l’emanazione dell’anima, o ātman, che, in esoterismo, è quel fattore spirituale che più condiziona la natura del particolare sistema d’interazioni che caratterizza i mondi più materiali (personalità, corpo mentale, corpo emotivo, corpo eterico-fisico). La continuità di coscienza tra tutti i diversi alter ego (ahamkāra), corpi (kosha) o livelli diversi della nostra coscienza (caitanya), comunque si decida di definire tali fattori, è lo scopo “finale” dell’evoluzione, tanto osannato dai maggiori testi sacri, è quel conseguimento che restituisce all’individuo la sua memoria spirituale, è la connessione consapevole di tutti i vari e disuniti frammenti coscienziali con l’anima (ātman) e poi con la monade (paramātman). E questo è un lavoro possibile qui ed ora, perché all’interno di ogni frammento coscienziale, di corpo, di personalità o di alter ego vi è una parte del paramātman da cui proveniamo, ed è attraverso questo stesso corpo, in questo stesso mondo, qui e ora, che possiamo riscoprire la nostra natura più profonda. Detto questo, come premesso, adesso affronteremo la tematica dal punto di vista, principalmente, del soggetto e del suo vissuto emotivo. L’energia di Dio è infinita e pervade ogni angolo più remoto dell’universo. Nasce da se stessa e non trova fine in niente, tutto è una sua manifestazione e in questo infinito divenire si frammenta in miriadi di cosmi, galassie, ammassi e sistemi stellari, quasar , pulsar , sistemi planetari, forme, suoni, colori, ecc…dando vita a tutto. Le nove forze o emanazioni sono, in esoterismo, le diverse modalità con cui questa energia, che in matematica potremmo paragonare allo zero, lo zero divino (fattore numerico che per definizione, rimane prima del tangibile in ogni suo aspetto e quindi al di là della manifestazione), e che il vaisheshikadarshana chiama adrishta (invisibile), emana da se stessa dando forma tangibile ad ogni cosa vivente in relazione al nostro sistema solare, alla nostra galassia e oltre. Queste nove forze, altro non sono che modalità vibratorie. Il livello di manifestazione di tali modalità è quello più fondamentale che si conosca ovvero quello quantistico , come già detto al capitolo 7 della seconda sezione. Tale livello della materia con la sua dualità corpuscolare-ondulatoria, insieme ad altre caratteristiche, si comporta secondo regole fisiche diverse, non solo rispetto al mondo macroscopico, come quello cellulare, ma anche rispetto all’atomo nella sua interezza (protoni, neutroni, elettroni). Il livello quantistico della materia è quel livello da cui è possibile cominciare a trattare delle nove emanazioni o forze. Le nove emanazioni, corrispondono a nove frequenze di base, nove frequenze specifiche, che emanano l’una dall’altra secondo un ordine preciso, ma in un insieme di cicli infiniti, in cui l’ultima di un ciclo emana da se stessa, la prima di un ciclo successivo e così via, similarmente al succedersi degli yuga e dei mahāyuga . Di queste nove frequenze fondamentali, solo le prime sette concorrono, generalmente, alla costituzione dell’assetto energetico umano, l’ottava e la nona, solo indirettamente e successivamente, esplicano delle azioni in relazione al regno umano. Misticamente, le nove emanazioni sono aspetti diversi dell’amore divino, modi diversi di esprimere la propria natura, modalità diverse di essere e di agire che si completano l’una nell’altra. Tali aspetti definiscono e strutturano l’anima individuale, il suo legame con la fonte primeva e sanciscono le caratteristiche specifiche che distinguono un’anima da un’altra, che rendono ogni individuo unico e distinto, con un sentire specifico, pur provenendo tutti dalla stessa energia divina fondamentale. Gli scritti di Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891) e Alice Ann Bailey (1880-1949), due medium di alto livello, si avvicinavano molto alla verità riguardo alla descrizione di sette, di queste nove (in realtà ve ne sono anche altre) energie fondamentali della creazione, conosciute, generalmente, in ambito teosofico e non solo, come i sette raggi. Secondo la vera tradizione esoterica, sono stati gli stessi maestri della Comunità spirituale del pianeta a rivelare certe conoscenze a H.P.Blavatsky (che canalizzò principalmente il maestro Morya) e successivamente ad A.A.Bailey (che canalizzò il maestro Djwal Khul, conosciuto anche come il Tibetano), come, sempre secondo tale tradizione, continuano a fare, tutte le volte che c’è la reale necessità e quando vi sono i veggenti adatti, essendo da sempre un’unica Gerarchia di maestri, sotto un unico Dio, per quanto nel mondo dell’illusione tutto appaia molteplice e diversificato, ma anche questo fa parte del disegno divino. Introducendo i termini e il concetto di assetto energetico individuale, come quello dei nove aspetti, è chiaro come ciò che fu rivelato a suo tempo, era una parte di quello che condiziona la struttura energetica di un individuo e dunque il temperamento fondamentale di ciascuno e che il discorso su ciò che dà forma alla struttura umana nella sua totalità è più complesso e dal momento che tutto è in movimento e in continua evoluzione, i tempi attuali sono maturi per assorbire come individui e in parte, come collettività, nuove rivelazioni e conoscenze. Partiremo dal principio andando per gradi. Le prime tre forze o emanazioni sono manifestazioni della trimūrti induista, connesse esotericamente alla trinità cristiana, e sono:
1) la prima forza o emanazione, Keter Elyon (la prima sephirah), la Volontà primordiale, Ichchhāshakti (la prima forza tantrica), il Desiderio di essere, esistere e sopravvivere, è Kālī shakti, la prima suprema mahāvidyā, la forza volitiva, distruttiva e trasformatrice di Mahakāla, il grande tempo o controllore del tempo, un aspetto di Shiva, il Padre. Solo questo potente aspetto divino ha il potere e la forza di eliminare tutto ciò che ostacola l’espansione dell’amore cristico o vaishnava che quindi impedisce alla creazione divina di entrare in manifestazione. È l’amore primordiale, potente ed istintivo dell’aspetto più antico che per rendersi comprensibile agli esseri umani ha bisogno dell’intervento della Madre divina, del Figlio e dello Spirito Santo. Nonostante questa sua caratteristica, essendo la prima emanazione ha un legame viscerale con tutto ciò che è antico, quindi inconscio, sia ad un livello planetario che individuale e dovendo mantenere inalterato il programma creativo che caratterizza il suo particolare ciclo, all’interno del quale le altre emanazioni devono operare e proprio per questo suo legame con l’inconscio collettivo e individuale, dispone di una istintiva e potente forza attrattiva nei confronti delle altre emanazioni, per permettere ad ognuna di riconoscere in qualsiasi momento il legame con il Padre, quindi con la fonte e mantenere così inalterato il Sanātanadharma, aiutando le altre emanazioni a non perdere se stesse, cioè la consapevolezza della loro frequenza primaria e fondamentale, proteggendo lo schema creativo dagli attacchi di chi vorrebbe distruggerlo. Secondo uno dei postulati fondamentali di tutto l’esoterismo, ovvero, ciò che è in “alto è in basso” e ciò che è nel microcosmo è nel macrocosmo e viceversa, è possibile, attraverso uno studio delle caratteristiche iconografiche, rappresentative e tradizionali di questo aspetto del Divino (come di ogni altro aspetto), Shiva, comprenderne meglio il tipo di manifestazione energetica. Gli antichi attraverso, appunto, la legge di corrispondenza, raffiguravano queste divinità accompagnate da animali distinti, come ci ricorda l’Induismo. Questo serviva per percepire nell’immediato, per chiunque, quale particolare energia manifestasse quel deva e questo è vero per ogni aspetto del Divino, non solo per Shiva. Shiva è l’unico aspetto della trimūrti con l’epiteto di Mahādeva, ossia, grande deva ed è l’unico che nei testi sacri induisti viene invocato, dagli altri due aspetti, quando il male assume una forza tale da mettere in difficoltà gli stessi Vishnu e Brahmā, esotericamente il Figlio e lo Spirito Santo: “Molto tempo fa, quando la Terra fu sul punto di essere sommersa dal diluvio cosmico, Vishnu assunse l’aspetto di un cinghiale (Varahāvatāra) e riuscì a salvarla. Fu allora che Shiva gli disse: «Dal momento che hai esaurito la missione divina per cui ti sei trasformato in cinghiale ora devi lasciare questa forma. La Terra non può più reggerti ed è esausta, piena di passione e nell’acqua si è riscaldata. Ha avuto da te un terribile embrione e quando nascerà, sarà un demone avverso agli dèi e al dharma. È necessario che tu abbandoni la forma attrattiva del cinghiale.» Vishnu fu d’accordo con Shiva, ma poi conservò il corpo del cinghiale e seguitò ad accoppiarsi con la Terra, la quale alla fine prese le fattezze della femmina di un cinghiale. Trascorse molto tempo e la Terra partorì tre figli. Contornato dai figli e dalla moglie, Vishnu dimenticò totalmente ciò che a suo tempo promise a Shiva, di abbandonare il corpo del cinghiale. I figli mentre giocavano insieme distruggevano tutti i mondi, ma Vishnu non riusciva a fermarli per via del grande amore che provava per loro, contemporaneamente la passione per la moglie aumentava sempre di più. Fu così che pensò alla promessa che fece a Shiva e lo pregò di ucciderlo. Allora Shiva assunse la forma della leggendaria e feroce fiera Sharabha e uccise Vishnu con i suoi tre figli, in questo modo l’essenza di Vishnu fu liberata dalla forma di cinghiale che la teneva prigioniera.” (Kālikā Purāna, 30, 1-42; 31, 1-153). Per questa sua caratteristica nel riportare l’ordine e il ricordo immanente e primordiale della legge suprema, è considerato il Mahādeva o Grande Dio, il Padre, l’aspetto della trinità più antico e potente. Egli è l’unico aspetto del Divino che ha la capacità innata di conoscere il male più profondo dell’universo, insieme alla cura per contrastarlo. Questa sua caratteristica ne delinea, tradizionalmente ed iconograficamente, da sempre, il ruolo cosmico e divino di distruttore e trasformatore. Essendo aspetti divini che per la loro natura trascendente sono oltre la comprensione umana, spesso in ogni tradizione religiosa vengono associati a dei simboli per rendere accessibili e comprensibili agli esseri umani concetti, significati e percezioni che altrimenti rimarrebbero inafferrabili. Secondo la concezione antica, le energie divine compenetrano tutta la creazione e per tutti gli esseri umani è, in linea di principio possibile, attraverso le caratteristiche degli animali associati ai vari aspetti del Divino, avere se non altro un’idea anche se parziale, dell’essenza manifestata da quello specifico aspetto del Divino. Gli animali, secondo la legge delle nove forze, a differenza degli esseri umani, manifestano anche nel loro aspetto fisico e nelle loro forme, in maniera immediatamente evidente, il tipo di emanazione che li caratterizza e che varia da specie a specie. Questo rende facilmente percepibile, all’esperto come al profano, il tipo di stato di coscienza che quella specifica emanazione e l’aspetto del Divino corrispondente, manifestano, incarnano e rappresentano . Nello specifico, tornando a Shiva, alcuni degli animali con cui sovente è rappresentato sono la tigre e il cobra. Questi animali vengono definiti nell’Induismo: vāhana, termine sanscrito che significa letteralmente “veicolo”, in quanto appunto veicoli terreni di questo mondo, attraverso i quali è possibile, come già detto, per ognuno comprendere, in parte, alcune delle caratteristiche delle essenze divine che dovrebbero rappresentare. Essenze divine che naturalmente, da una prospettiva religiosa e mistica, trascendono questo mondo e i suoi abitanti. Una similitudine di questo processo potremmo riscontrarla, ad esempio, nella figura simbolica dell’agnello nel Cristianesimo. La tigre, indica l’azione protettiva di Shiva nei confronti dell’energia dell’amore cristico del Figlio ed in senso lato, della parte pura presente in ogni suo figlio appartenente a questa creazione, cioè la sua monade o paramātman, nonché della materia primordiale, Mūlaprakriti, “incarnata” dalla Madre divina (cioè la sacra piattaforma purificata e consacrata dallo Spirito Santo, la terza emanazione), materia che serve come veicolo di espressione all’energia cristica, senza la quale questa fondamentale energia, rimarrebbe solo un principio inespresso e lontano da questo mondo. La stessa incarnazione è possibile grazie alla materia consacrata di cui ogni singola particella vibra, almeno originariamente (come nei bambini), in sintonia con l’amore materno della Madre divina, unica vera dispensatrice di qualsiasi forma materiale. La tigre indica l’aspetto protettivo di Shiva nei confronti di tutto questo. Il cobra, ricorda il peculiare contatto che Shiva ha nei confronti del “veleno” illusorio della materia, il tamas guna, l’unica qualità della materia, secondo la tradizione induista, connessa direttamente all’illusione terrena e demoniaca, il cui potere velante (āvarana shakti), distrugge la memoria spirituale e ottenebra la coscienza, aumentando gli attaccamenti terreni e la sete di soddisfarli, portando le anime inesorabilmente a perdersi nell’oblio di se stesse. Shiva è l’unico che può bere questo veleno e toglierlo al mondo, salvandolo, per questo è considerato tradizionalmente, il Signore del tamas e il distruttore, nonché signore dei demoni o asura. Il vāhana tradizionale di Shiva è Nandin, un toro bianco, sia come simbolo di forza, vigore, potenza e tenacia e sia come purezza, connessa al colore bianco. La simbologia del toro bianco è molto importante per capire la manifestazione di Shiva all’interno della creazione, intanto come potenza virile fecondante in relazione alla Shakti-Materia e poi rispetto al fatto che nonostante sia considerato, dalla tradizione hindū, Signore del tamas e degli asura e quindi sia costantemente in contatto con l’aspetto più nero e profondo della creazione (il colore associato al tamas guna è il nero o kālā), la sua natura è permeata di sattva, il cui colore caratteristico è, appunto, il bianco o shukla. Il colore bianco associato al suo vāhana, esprime un aspetto fondamentale dell’azione di Shiva e cioè come egli porti il sattva (rappresentato dalla luce divina) a contatto con gli abissi oscuri della creazione facendo rifulgere la luce divina nelle profondità delle tenebre e permettendo così alle azioni successive, come quella di Vishnu, di entrare in manifestazione. Egli è associato alla fonte della prima forza o emanazione divina. L’elemento sottile associato alla prima emanazione è il fuoco o tejas sūkshmabhūta , il cui calore trasmuta da uno stato all’altro è l’unico elemento che non può essere toccato senza provocare dolore. Lo scopo primario di questo aspetto distruttivo e trasmutativo dell’universo è la volontà di esistere, la frequenza dello spettro elettromagnetico visibile, ad essa associata, è il rosso. Da un punto di vista ayurvedico, c’è il concetto di prakruti, in questo ambito utilizzato per stabilire la costituzione individuale. Tale concezione si struttura intorno ai tre dosha o principi bioenergetici, che sono, da quello più sottile a quello più denso: vāta, pitta e kapha i quali, in linea con il sāmkhya, sono formati dai sūkshmabhūta o elementi sottili. Vāta è costituito da ākāsha (etere) e vāyu (aria), pitta da tejas (fuoco) e āpas (acqua), kapha da āpas e prithvī (terra), ogni dosha è, inoltre, costituito da proporzioni diverse dei triguna, sattva, rajas e tamas, vāta da sattva, rajas e una ridotta componente di tamas, pitta da rajas, tamas e subordinatamente sattva, kapha da tamas, sattva ed una piccola percentuale di rajas. Per dirla in due parole, vāta è associato al movimento e all’espansione, pitta alla trasformazione e kapha alla stabilità e al consolidamento. Per un vaidya, o un serio operatore ayurvedico, è possibile stabilire, a quale prakruti appartiene un individuo, ovvero quella che, tradizionalmente, viene definita costituzione psicofisica. La costituzione viene definita rispetto alla dominanza di uno dei tre dosha sugli altri. Anche nella tradizione ayurvedica, curiosamente, il numero sette ha la sua importanza, infatti vengono contemplate sette tipologie costituzionali. Ognuna di queste sette tipologie è integrabile con ciascuna delle sette forze, con una precisazione; non è possibile stabilire sistematicamente, in un individuo, dalla sua prakruti, da quali emanazioni e pianeti, nella sua complessità, è qualificato e condizionato, però è certamente possibile avere importanti indizi. Detto questo, tra le sette tipologie costituzionali ayurvediche, la prima forza è compatibile con la prakruti a pitta dominante.
2) La seconda forza o emanazione, Hokmah (la seconda sephirah), la Saggezza divina, Jñānashakti (la seconda forza tantrica), l’Amore sapiente, è Tārā shakti, la seconda suprema mahāvidyā, la forza emotiva, compassionevole e sapiente, potenza (shakti) di Akshobha, l’Imperturbabile. Rappresenta la saggezza spirituale frutto dell’unione della volontà consapevole con l’amore universale, l’energia cristica o vaishnava che manifesta l’energia di amore e di conservazione di Vishnu, il Figlio, Cristo, rappresenta lo scopo principale di tutta la creazione, relativamente a questa creazione umana, alle linee evolutive a lei collegate (come quella angelica) ed in riferimento al nostro sistema solare. L’amore puro è l’essenza più perfetta, l’energia divina nella sua forma più condivisibile, è l’origine e il fondamento di ānanda, termine sanscrito che nella tradizione induista indica la vera beatitudine. È il frutto prezioso dell’incontro tra il Padre e la Madre, tra Shiva e Shakti. La sua caratteristica principale è l’amore sapiente puro e universale, la saggezza amorevole e profonda, Jñānashakti, quell’amore consapevole che tutti gli uomini e tutte le donne, dovrebbero conoscere e far entrare nei loro cuori. È il Signore del sattva guna, la qualità della materia che manifesta la purezza, l’armonia e l’equilibrio. Il suo vāhana (veicolo) è conosciuto nell’Induismo come Garuda, un animale simile ad un’aquila a ricordare la maggiore caratteristica di Vishnu e lo scopo finale della sua azione che è l’espansione, espansione di questo amore in ogni angolo dell’universo e la principale caratteristica del sattva guna che è l’azione ascendente, come quella del tamas è quella discendente, da cui il concetto religioso di “Cielo” e “Paradiso”. La figura dell’aquila sottolinea anche l’importante connessione che l’energia cristica ha con un’altra specifica linea evolutiva ad essa intensamente legata, oltre a quella umana, linea evolutiva rappresentata tradizionalmente come “alata”, cioè l’ordine angelico o devico. Questo animale indica anche il naturale collegamento che questa seconda forza o emanazione ha con l’elemento sottile dell’aria o vāyu sūkshmabhūta, elemento a lei, esotericamente, associato. In effetti le caratteristiche di questo elemento: leggerezza, sottigliezza, espansività, condivisibilità ed inclusività, sono caratteristiche affini sia al sattva guna che evidentemente, alla seconda emanazione. I dashāvatāra , figure divine e fondamentali in tutto l’Induismo, manifestano aspetti diversi di questa emanazione. La seconda emanazione è quell’aspetto dell’universo il cui scopo primario è l’unione-condivisione, alla base dell’espansione della coscienza, la cui caratteristica è l’amore sapiente, la frequenza dello spettro elettromagnetico visibile ad essa associata è il blu. Questa forza è compatibile con la prakruti ayurvedica a vata dominante.
3) La terza forza o emanazione, Binah (la terza sephirah), la Comprensione e la Conoscenza divina, Kriyāshakti (la terza forza tantrica), l’Azione divina, è Tripursundarī shakti, la terza suprema mahāvidyā, la forza del desiderio trascendentale di manifestazione, potenza (shakti) di Kameshvara, il dio del desiderio. La terza emanazione, manifesta l’energia creatrice e selettiva di Brahmā, lo Spirito Santo, l’aspetto di Dio che entra a contatto con “la superficie delle acque”, come dice la Genesi, le “acque” sono da intendere come la materia informe primordiale (ebraico: tehom), la Mūlaprakriti, dalla cui manipolazione creatrice di Dio deriva tutta la creazione, la materia primordiale necessaria per dare forma ad ogni cosa, attraverso la spinta volitiva del Padre e che servirà come piattaforma all’amore cristico del Figlio. La materia necessita dell’azione riorganizzatrice dello Spirito Santo, sotto la spinta del Padre, per poter accogliere in sé l’energia cristica, evento metafisico e spirituale spiegato simbolicamente dalla teologia cristiana quando insegna che il Padre feconda la Vergine Maria attraverso lo Spirito Santo per far nascere Cristo senza intervento umano, come parafrasato nel Vangelo. Questi due fattori, la terza emanazione e la Mūlaprakriti, si fondono poi in un unico aspetto, quello della materia consacrata intrisa di energia divina e spirituale, permeata di Coscienza divina. In numerose tradizioni sacre antiche, la materia primordiale, è sempre stata associata all’elemento “acqua”, evidente non solo nella Genesi della Bibbia: “Ora la terra era informe e deserta e l’oscurità ricopriva l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque.” (Genesi 1,2), ma ad esempio in quella induista: “Nel momento in cui sopraggiunsero le grandi Acque che hanno in sé l’embrione di tutto l’universo, generarono Agni e fu così che l’Uno divenne il soffio vitale degli dèi.” (Rig Veda, mandala X, inno 121, v.7), nella tradizione sumera (Enki è il dio delle acque profonde definite Abzu e il creatore degli esseri umani), oppure accadica e babilonese (in cui il corrispettivo di Enki è Ea, il dio delle acque, in babilonese: Absu), dalla cultura di quest’ultima, deriva inoltre, come dimostrato archeologicamente e storicamente, buona parte della tradizione ebraica e dei suoi miti e quindi, naturalmente, parte del Tanàkh, la Bibbia ebraica. Brahmā, è la personificazione della terza emanazione divina, quell’aspetto energetico che spiritualizza le “acque”, Brahmā è lo Spirito Santo. Per questo il suo vāhana tradizionale è un cigno (hamsa), ad indicare due cose: una la bellezza della forma e l’eleganza della materia quando è pervasa di Spirito Santo, ovverosia della Presenza divina e l’altra, il legame indissolubile della terza emanazione con l’aspetto sottile dell’elemento acqua o āpas sūkshmabhūta. Lo scopo principale di questa terza forza dell’universo è la manipolazione-sistematizzazione della prakriti o materia, la frequenza dello spettro elettromagnetico visibile ad essa associata è il giallo. Questa forza è compatibile, nel regno umano, con la prakruti ayurvedica a kapha dominante. Da tenere presente che nella tradizione cabalistica ebraica, Keter Elyon, Hokmah e Binah, rappresentano una trinità sacra e nella tradizione tantrica delle dashamahāvidyā, analogamente, Kālī, Tārā e Tripursundarī, rappresentano le tre principali vidyā. L’energia cristica o di amore sapiente divino, Jñānashakti, passa da Shiva a Vishnu a Brahmā, ovvero dal Padre al Figlio, allo Spirito Santo. L’amore caratterizza logicamente tutti e tre gli aspetti divini e sia il Figlio o Vishnu, che lo Spirito Santo o Brahmā, prendono questo amore dal Padre o Shiva, sebbene sia del Figlio (nella forma degli avatāra, nella tradizione hindū, o messia, nella tradizione ebraico-cristiana, come, ad esempio, Rama, Krishna, Buddha e Cristo) il ruolo di renderlo più comprensibile all’essere umano e ad altre linee evolutive. Detto questo, le quattro successive emanazioni sono il risultato di combinazioni diverse delle prime tre, sinteticamente:
4) La quarta forza o emanazione è Chesed o Ghedullah, la quarta sephirah, la Misericordia, l’Amore divino è Bhuvaneshwari shakti, la quarta mahāvidyā, la forza dell’abbondanza, dell’equanimità e della condivisione, potenza (shakti) di Trayambaka, il dio che vince sulla morte. La quarta forza nasce dall’incontro della seconda con la terza, la sua manifestazione é quella della seconda emanazione ma ad un livello più terreno e quindi, rispetto alla seconda, ha un contatto più diretto con l’aspetto più grossolano della materia, la sua funzione spirituale è quella di portare l’energia cristica ad un livello più materiale, attraverso le diverse e poliedriche sfumature dell’amore, in quanto l’amore cristico puro della seconda emanazione divina, quando entra in contatto con la componente materiale della terza emanazione e quindi scende in manifestazione terrena a livello mentale, emotivo ed eterico-fisico si frammenta in numerosi aspetti più o meno intrisi di materialità ed è quindi necessaria l’azione della quarta emanazione per riportare ognuno di questi numerosi aspetti alla loro fonte primordiale in seno all’energia cristica, è l’emanazione dell’equilibrio tra spirito e materia, gli elementi a livello microscopico (quantistico) connessi a questa emanazione sono: aria o vāyu sūkshmabhūta, acqua o āpas sūkshmabhūta e terra o prithvī sūkshmabhūta, la frequenza dello spettro elettromagnetico visibile ad essa associata è il verde, il suo obiettivo primario è la misericordia divina, frutto dell’amore della seconda sephirah e della seconda vidyā, che scende ad un livello più umano e terreno. Questa forza è compatibile, nel regno umano, con la prakruti ayurvedica di tipo vata/kapha.
5) La quinta forza o emanazione è Din o Ghevurah, la quinta sephirah, la Giustizia divina, il Rigore divino, il Potere divino, il Giudizio divino, è Tripurbhairavi shakti, la quinta mahāvidyā, la forza di determinazione, la forza dell’autocontrollo, la forza della chiarezza e della lucidità mentale, la forza della stabilità e della costanza, aumenta la corretta canalizzazione della sessualità, annienta la pigrizia, la confusione mentale, l’incostanza e l’emotività incontrollata, è la potenza (shakti) di Kālabhairava, il Terrifico, il distruttore del tempo, colui che distrugge ciò che ostacola l’evoluzione spirituale in relazione, peculiarmente, nei tre mondi più materiali (Bhūr, Bhuvar e Svar). La quinta emanazione è anche Chinnamasta shakti, la sesta mahāvidyā, la forza del distacco immediato dai condizionamenti emotivi e mentali, colei che controlla le vritti, le modificazioni della sostanza mentale, obiettivo ultimo dello yoga, è la potenza (shakti) di Kabhand Shiva, colui che distrugge ciò che limita ad un livello più sottile, quindi in relazione ai mondi superiori (Mahar, Janar e Tapar), rispetto a Kālabhairava. Il collegamento di questa emanazione (connessa a manipūra chakra) con Tripursundarī shakti (la terza mahāvidyā) è relativo alla forte correlazione, come palesato anche dalla tradizione tantrica, con la terza emanazione (connessa a vishuddha chakra). La quinta emanazione è una combinazione della prima e della terza, la sua manifestazione è dunque spinta dalla forza della prima emanazione, ma intrisa della materialità e della complessità formale della creazione materiale senza, quindi, la naturale semplicità, essenzialità ed istintività primordiale e selvaggia che caratterizza la prima emanazione, ma esprimendo una maggiore accuratezza, ponderatezza e riflessività, avendo a che fare maggiormente con i particolari e con gli aspetti spesso apparentemente contraddittori della creazione terrena. È la volontà e il potere di manipolare la materia, attraverso la mente che cerca di strutturare la realtà materiale della creazione per utilizzarla secondo le proprie esigenze, è l’emanazione della logica e dell’attitudine analitica, gli elementi connessi a questa emanazione sono: terra o prithvī sūkshmabhūta e secondariamente fuoco o tejas sūkshmabhūta, la frequenza dello spettro elettromagnetico visibile ad essa associata è l’arancione, il suo obiettivo primario è manipolare la materia e le forze oscure, irrazionali e incontrollate dell’universo, attraverso il rigore della logica divina. Questa forza è compatibile, nel regno umano, con la prakruti ayurvedica di tipo pitta/kapha, con kapha a dominanza di prithvī (terra).
6) La sesta forza o emanazione è Rachamin o Tiferet, la sesta sephirah, la Compassione divina, la Bellezza divina, l’Armonia divina, è la mahāvidyā Kamla shakti, la forma tantrica di Lakshmi, la forza della devozione e della fedeltà, la forza del sacrificio, la forza della pace e della prosperità, è colei che benedice e protegge i matrimoni. Kamla è uno degli epiteti di Lakshmi, la shakti di Vishnu, il Preservatore. La tradizione dice che sia la più pura e la più bella tra le dee e che la sua attenzione sia attirata da coloro che hanno compassione per chi soffre e si prendono, anche con sacrificio, cura degli altri. Ha una particolare relazione con l’elemento acqua, si dice, infatti, sia “costituita di acqua” La sua espressione energetica è l’opposta polare di quella di Dhūmāvāti, la shakti associata alla nona emanazione. Dhūmāvāti è definita anche Jyestha, la più anziana, mentre Kamla, Kanishtika, la più giovane. È la potenza dell’aspetto più sattvico di Shiva, Sadashiva, o di Vishnu stesso, colui che preserva i mondi. Infine, il collegamento di questa emanazione (connessa a Svādhishthāna chakra) con Tārā shakti è relativo alla forte correlazione, come si evince anche dalla tradizione tantrica, con la seconda emanazione (connessa ad ājñā chakra). La sesta emanazione è una combinazione della seconda e della prima, la volontà della prima emanazione quando si focalizza a livello emotivo e dona una forte capacità di autoimmolazione e di autosacrificio per il principio, l’ideologia o l’amore in cui si crede. La sua manifestazione in essenza è l’aspetto devozionale, è la potenza e la volontà dell’amore che si esprime nella devozione più spirituale e assoluta mentre la quarta emanazione è la seconda emanazione che si esprime ad un livello più materialistico, la sesta emanazione è la seconda che si esprime ad un livello più mistico e religioso, è l’emanazione dell’aspirazione, gli elementi connessi a questa emanazione sono primariamente: acqua o āpas sūkshmabhūta e fuoco o tejas sūkshmabhūta, ma anche l’aria o vāyu sūkshmabhūta, che deriva dalla seconda emanazione con la quale, appartenendo alla linea pari, è necessariamente connessa. la frequenza dello spettro elettromagnetico visibile ad essa associata è l’indaco, il suo obiettivo primario è svelare la bellezza e la compassione divina insita nella creazione, attraverso la devozione per un Ente superiore e l’amore per tutte le sue creature. Questa forza è compatibile, nel regno umano, sia con la prakruti ayurvedica di tipo pitta/kapha dominante, con kapha a dominanza di āpas (acqua), sia con la prakruti di tipo vāta/pitta.
7) La settima forza o emanazione è Netsah, la settima sephirah, la Vittoria e l’Eternità; Hod, l’ottava sephirah, la Maestà divina; Yesod, la nona sephirah, il Fondamento divino; Malkuth o Shekhinah, la decima sephirah, il Regno divino, la Presenza divina, è la mahāvidyā Baglamukhi shakti, la Potente, la forza che immobilizza, la forza che paralizza ogni ostacolo, la forza che inverte istantaneamente il corso degli eventi, la forza che trasforma le avversità in opportunità, la rabbia in calma interiore, il vizio in virtù, la paura in coraggio, l’insicurezza in sicurezza interiore e stima di sé, la negatività e la disarmonia in pace e armonia, è la potenza (shakti) di Mahā Rudra, il “grande urlatore”, l’aspetto distruttivo di Shiva che mantiene l’ordine cosmico. In un altro suo aspetto più benevolo è la mahāvidyā Mātangī shakti, Shyama, la Scura, la forma tantrica di Saraswati, la dea della parola, della musica e della conoscenza, è la forza dell’uguaglianza e del rispetto per ogni essere umano, da quelli dei ceti sociali più bassi e poveri, a quelli più elevati e abbienti, per questo nel Tantrismo hindū, è conosciuta anche come Chandali o Chandalini, perché adorata anche dai chandala e loro protettrice, quelli che in India, sono considerati i reietti della società, i fuori casta, inferiori anche agli shudra, ovvero la più bassa delle quattro caste, in sanscrito, varna, le altre tre, in ordine discendente sono: i brahmana, gli kshatrya e i vaishya. Le caste sono, naturalmente, connesse, come tutto (da una prospettiva metafisica hindū) del resto, alle tre qualità primordiali della materia, ossia, brahmana o sacerdoti: sattva, kshatrya o guerrieri: rajas, e vaishya/shudra o mercanti (commercianti)/servitori: tamas (sebbene le caste siano ufficialmente quattro, esotericamente sono tre, in quanto metafisicamente, all’origine, connesse all’influenza di una delle tre qualità primordiali della prakriti o materia. I vaishya possono, da questa prospettiva, essere assimilati agli shudra, ovvero all’influsso primario del tamas, in quanto due manifestazioni dello stesso guna, anche perché se i vaishya fossero influenzati da un connubio rajas-tamas, necessiterebbe, coerentemente, una quinta classe, che non c’è, tra gli kshatrya e i brahmana, influenzata dal sattva-rajas. Inoltre nei Tantra si descrivono tre classi d’individui, e non quattro, ciascuna connessa ad una specifica natura come conseguenza dell’influsso di uno dei tre guna, cioè, gli uomini di natura “bestiale” pervasi dall’ignoranza spirituale o pashu, assimilabili agli shudra, sotto l’influsso del tamas, gli uomini di natura eroica o vīra, assimilabili agli kshatrya, sotto l’influsso del rajas e, infine, i divya, gli uomini di natura divina, sotto l’influsso del sattva). È la forza divina dietro le apparenze e i riconoscimenti esteriori, la forza dell’armonia divina dentro agli aspetti più materiali della creazione, a volte associata a Ganesha (il dio dalla testa di elefante, protettore dei bambini, che rimuove gli ostacoli terreni che impediscono alla forma spirituale della preghiera di ascendere sui piani superiori) è la potenza (shakti) di Matang, il dio della speranza, che compenetra con la sua potente luce, l’aspetto più infimo della creazione, protettore dei poveri e dei miserabili. Inoltre, questa emanazione (connessa a mūlādhāra chakra) ha un collegamento con Kālī shakti relativamente alla forte correlazione, come emerge anche dalla tradizione tantrica, con la prima emanazione (connessa a sahasrāra chakra). La settima emanazione, ha in sé parte di tutte le altre sei, in proporzioni abbastanza equilibrate, pur manifestando un’unica essenza: la sua. Questa emanazione manifesta la concretizzazione dei frutti delle altre sei portandole, attraverso l’ordine e la struttura, ad un livello più materiale, per dar modo alla materia più bassa di riscoprire in sé la natura divina e il suo intimo contatto con il Divino in tutte le sue forme, è l’emanazione dell’ordine e dell’eleganza divina e questo si esprime anche su questo piano dimensionale, Bhūrloka. Per le sue peculiari caratteristiche è in grado sia di inglobare ciò che è diverso da sé e sia, essendo quella che concludendo il ciclo mantiene un contatto con gli altri sei aspetti della creazione, mettere in connessione ciò che è in alto con ciò che è in basso, per questo è l’emanazione della medianità divina e del ritualismo religioso e spirituale, ma anche materiale, è l’emanazione che dona il giusto ritmo nella quotidianità. È quell’aspetto che si trova alla fine, alla conclusione di un ciclo e si porta perciò dentro il ricordo dell’essenza di tutti i vissuti emotivi, i dolori e le gioie, che hanno caratterizzato quello specifico ciclo. Una parte importante del suo “programma” divino è quello di mantenere la memoria di quel sistema, il ricordo del passato, affinché non si spezzi mai il legame con il ciclo successivo, ma si mantenga sempre un continuum spaziotemporale tra i vari cicli. È l’emanazione che ricorda il giusto ritmo che porta alla vera stabilità, quella del matrimonio tra materia e spirito, per questo ha un forte collegamento con l’energia cristica e per questo è definita come l’emanazione del ritmo e della stabilità , gli elementi ad un livello quantistico connessi a questa emanazione sono tutti e quattro, con una leggera dominanza di acqua o āpas sūkshmabhūta e aria o vāyu sūkshmabhūta, la frequenza dello spettro elettromagnetico visibile ad essa associata è il viola, il suo scopo primario è la vittoria dello Spirito divino che si espande nella materia, replicandosi per l’eternità, questa forza è la maestà divina che si manifesta attraverso la materia e la conseguente creazione fenomenica, è la forza stabilizzatrice che fa della materia universale e primordiale (Mūlaprakriti) il suo fondamento, è la presenza divina in essa che ricorda costantemente la sua grandezza e con il suo potere irradia attraverso l’azione velante del tamas guna (avarana shakti). Questa forza è compatibile, nel regno umano, con la prakruti ayurvedica di tipo vāta/pitta/kapha. Vi sono, come più sopra accennato, altre due manifestazioni vibrazionali, altre due emanazioni oltre alle prime sette; l’ottava e la nona.
8) L’ottava forza o emanazione, è connessa al regno definito, in ambito cabalistico, come sitra achra, termine aramaico che significa “altra parte”, per distinguere la sua peculiare natura, e la sua collocazione, da quelle forze che agiscono in ambiti, dimensioni e luoghi, favorevoli allo sviluppo e all’espansione della coscienza umana. Non è associata ad alcuna sephirah, i suoi mondi sono gli inferni hindū o sette pātāla, ciascuno distorsione di una delle sette forze primarie e, in ambito cabalistico, le sette “scorze” o “bucce” che rivestono e deformano la santità delle sephiroth o qliphoth. Come le sephiroth formano quello che è tradizionalmente definito Albero della Vita, vita intesa in senso spirituale e terreno, le qliphoth formano il cosiddetto Albero della Morte, la forma speculare dell’Albero della Vita (come ciascun pātāla con ciascun loka), morte intesa in senso spirituale e terreno, in riferimento alle linee temporali negative in cui si incarnerebbe la coscienza umana, e rappresentate dai sentieri “invertiti” dell’Albero della Vita. Alcuna mahāvidyā è associata a questa forza, in quanto è Dhūmāvāti, la mahāvidyā caratteristica della nona forza, che assorbe e trascende questa emanazione. Se proprio vogliamo associarla ad una potenza, quella a lei corrispondente è Lilith, una figura caratteristica delle antiche religioni mesopotamiche e del primo Ebraismo. Lilith era considerata, nella religione mesopotamica, un demone femminile (demonessa), tra i più potenti e pericolosi per l’essere umano, causa di morte, malattie e disgrazie in genere. Nella più antica tradizione ebraica, invece, venne indicata come la prima moglie di Adamo, antecedente Eva, successivamente ripudiata e cacciata dall’Eden. Tracce della sua presenza, e della sua storia, nella tradizione ebraica, si trovano, ad esempio, nel Sèfer ha Zòhar, in alcuni manoscritti non biblici di Qumran, in alcuni riferimenti sporadici del Talmud, ma anche nella Bibbia, sebbene una sola volta, in Isaia 34,14. Una leggenda sul suo conto narra che ella rapisca i neonati nella culla, ora, non volendo prendere alla lettera tale affermazione, simbolicamente, però, può avere un grande significato, in quanto una delle principali caratteristiche dell’energia divina è l’istinto materno che contraddistingue, come si evince chiaramente dai testi sacri hindū, tutti gli aspetti della Madre divina, incluse le dashamahāvidyā tantriche, istinto peraltro, la cui carenza o assenza, viene associata all’epoca del Kālīyuga. La funzione rappresentativa che tale demone femminile mesopotamico, esprime, può essere considerata la potenza (shakti) di quell’entità che in ambito hindū, è conosciuta come Vritra (avviluppatore), paragonato nei Veda (v. Rig Veda) al “serpente” antico, e in ambito cristiano, rappresentata dalla figura di Satana, per fare due esempi, in esoterismo si dice che tale figura (Vritra, Shaytan o Satana) sia a capo di 72 legioni di asura o demoni, ma questa è un’altra storia. L’ottava emanazione, manifesta la distorsione specifica di ognuna delle sette emanazioni (ma non la nona), il regno definito, in ambito mistico-religioso, del male è il suo campo di azione. Ciascuna forza può manifestarsi divinamente, come secondo una modalità corrotta, esprimersi nella sua essenza più profonda, oppure nell’aspetto demoniaco, l’ottava emanazione è la dimensione dei demoni o asura e di chi è sotto la loro azione. Questa emanazione, esotericamente, è connessa ad alcuni buchi neri o black holes, presenti nel nostro universo osservabile. I buchi neri sono, molto sinteticamente, nella relatività generale, oggetti astrofisici formati da regioni molto massicce, con campi gravitazionali talmente intensi, che niente, teoricamente, può sfuggirli, neanche la luce (essendo la velocità di fuga più veloce di quella della luce stessa) che una volta catturata rimane al loro interno, da cui “buchi neri”. Si dice che all’interno di un buco nero, lo spaziotempo si deformi e che tali fenomeni sono limitati da una superficie limite, oltre la quale niente può, teoricamente, sfuggire. Questa regione-limite di un buco nero è conosciuta in ambito scientifico come “orizzonte degli eventi”. Esistono nell’universo, buchi neri supermassivi, che è la tipologia di buchi neri più massicci. Un buco nero supermassivo, per intenderci, ha una massa milioni o miliardi di volte superiore a quella del nostro Sole. Gli scienziati sostengono che quasi tutte le galassie, compresa la Via Lattea, abbiano al loro centro un buco nero supermassivo. Comparando le conoscenze fisiche con gli insegnamenti esoterici, i buchi neri sarebbero passaggi dimensionali e non tutti avrebbero una funzione negativa in relazione all’anima o coscienza dell’essere umano. Ma qualcuno si, nel senso che sono veri e propri “portali” verso dimensioni alle quali l’essere umano che si allontana dalla sua natura più profonda, inconsapevolmente, si connette . Questi “portali” sono come cunicoli spaziotemporali connessi a linee temporali morte, nel senso che le anime che vi si connettono si allontanerebbero eccessivamente, dal campo esperienziale necessario alla coscienza umana perché resti, il più possibile, inalterata nel tempo e nello spazio del multiverso , per questo, tali linee, sarebbero senza evoluzione per le monadi umane e quindi senza un vero futuro e forse, in alcuni casi, senza ritorno, rispetto alla linea temporale, e coscienziale, principale da cui derivano. In tali linee spaziotemporali connesse all’ottavo aspetto, la coscienza umana ovvero l’anima, subirebbe un processo involutivo e contrattivo, anziché evolutivo ed espansivo, come dovrebbe essere nella sua reale natura. In sostanza, sarebbero linee temporali non favorevoli per lo schema evolutivo delle monadi umane . Ad ogni modo, sembrerebbe che l’ottava emanazione sia associata ad alcuni buchi neri e alle dimensioni a cui sono connessi. Facendo un’analisi semplice, generale e sintetica, l’azione dell’ottava emanazione sulle altre sette (la nona è esclusa dall’azione dell’ottava emanazione) si concretizza secondo queste modalità; La prima emanazione distorta, manifesta l’attaccamento al potere e alla distruzione fine a se stessa senza la spinta dell’amore divino, una sua caratteristica è la rabbia, che non è semplice rabbia, ma collera canalizzata attraverso il rancore sordo e profondo, il desiderio di vendetta e un’attrazione fatale verso la morte e la distruzione. Il senso di solitudine, tipico di questa emanazione (è il numero uno, non vi è alcuno prima di lui. È il primo del suo ciclo), spesso evidenziato dal particolare karma (che ha, generalmente, connotazioni più “estreme” rispetto alle altre emanazioni) degli individui caratterizzati da questo aspetto energetico, assume proporzioni di difficile controllo. Essi fanno, letteralmente, “terreno bruciato” intorno a loro, soprattutto laddove percepiscono l’energia cristica che per sua natura tende alla condivisione e all’inclusione. Sono individui molto pericolosi, corruttori, irrazionalmente distruttivi e alla fine autodistruttivi, quando la loro naturale combattività diventa distruttività priva di amore divino, anche perché utilizzano la loro naturale capacità di attrarre per corrompere e degradare le altre emanazioni, creando in loro una forte confusione, indebolendone la naturale capacità discriminatoria tra dharma e adharma. È questa l’emanazione che ha la forza di aprire la porta al male permettendo alle altre sei emanazioni demoniache di entrare in manifestazione. Come nel dharma è necessaria l’azione della prima emanazione per consentire all’amore cristico di manifestarsi attraverso, dapprima, la seconda e poi per mezzo delle altre cinque emanazioni, così nell’adharma, la sua azione satanica è necessaria per aprire un varco al male e farlo entrare in manifestazione, attraverso le altre sei emanazioni distorte, che altrimenti non potrebbero manifestarsi. La seconda emanazione distorta, manifesta un falso amore, privo del necessario distacco emotivo, distacco che dona l’equilibrio occorrente a manifestare un amore imparziale, equo e dunque giusto, quindi divino, una delle sue distorsioni si manifesta attraverso la carezza dell’amore per il più potente terrenamente e non per il più giusto, l’accondiscendenza “benevola” per coloro con cui vi sono legami affettivi e un’apatica indifferenza verso tutti gli altri, in sostanza, in questi casi, vi è un’assenza totale di imparzialità e obiettività. Questo aspetto quando non si manifesta in maniera divina, come per la quarta emanazione distorta, vive uno stato di contrasto tra attrazione e repulsione nei confronti dell’aspetto distruttivo del Divino, cioè Shiva, che si manifesta attraverso la prima emanazione, non accettando che in Dio possa coesistere accanto alla benevolenza, al perdono e alla compassione divina anche, quando è necessario, la distruzione e la punizione divina, com’è evidente, ad esempio, dal racconto sul diluvio universale, evento ricordato da molte tradizioni antiche (sumere, accadiche, babilonesi, induiste, ecc…) oltre a quella biblica. Questo accade perché le seconde e le quarte emanazioni non hanno, nella loro natura, una sufficiente componente distruttiva e quindi hanno più resistenze, rispetto ad altre emanazioni, a comprenderla e ad accettarla. Spesso gli individui che sono influenzati da queste emanazioni, nascondono abilmente a sé stessi che sotto le spinte della paura e dell’attaccamento emotivo, il loro sentimento non è vero amore, ma sanno anche, intimamente, che l’energia di Shiva con forza, fa emergere tutto ciò che deve essere eliminato e che altrimenti le energie negative utilizzerebbero, consapevolezza che loro amano molto celare anche e soprattutto a sé stessi. L’amore vero e puro, quindi spirituale, non conosce ipocrisie. Ma è proprio attraverso l’ipocrisia che il male prolunga la sua azione, attraverso una falsa concezione di amore alla quale anche loro stessi, alla fine finiscono per credere. La terza emanazione distorta, si esprime attraverso un forte attaccamento alla materialità in tutti i suoi aspetti, è l’attaccamento terreno privo di consapevolezza divina e del giusto equilibrio tra materia e spirito, attraverso il ritmo che l’energia divina deve imprimere nella materia più grossolana e non solo. Questi individui anziché usare la loro naturale capacità di economizzare l’energia, per “creare” qualcosa di più produttivo, funzionale ed adattivo, dando il giusto ritmo a livello terreno, diventano fonti notevoli di dispersione energetica, attraverso una perdita generale e graduale di autocontrollo, di costanza e in ultima istanza, origine di caos. Il loro unico obiettivo diventa quello di trovare modalità, più o meno discutibili, nell’acquisire posizioni terrene di dominanza per assicurarsi, o così vorrebbero realizzare, la maggiore e costante soddisfazione nel godimento dei sensi, ma spesso lo fanno mascherandosi dietro a falsi ideali, valori e principi, ostentando una morale e un’etica che vedono solo loro e chi si fa da loro ammaliare. Si autoconvincono di queste false immagini di sé stessi per perseguire i loro scopi terreni raggiungendo una pseudo-tranquillità interiore, anche se, in realtà, non hanno grandi scrupoli nel perseguire i loro interessi, ma lo fanno cercando di non apparire mai agli occhi degli altri per ciò che realmente sono. A loro piace essere al centro dell’attenzione, in maniera anche eclatante e rumorosa sfoggiando una di quelle tante immagini di sé che si sono, più o meno consapevolmente, costruiti. Questa ossessiva ricerca di notorietà e di consensi, si traduce, spesso, in una particolare distorsione che, come vedremo, condividono con gli individui caratterizzati dalla quinta emanazione, il desiderio di emulazione della prima emanazione, invidiandone la naturale attrattività che ha nei confronti delle altre emanazioni. Naturalmente, l’individuo caratterizzato principalmente dalla terza emanazione, non conoscendo, generalmente, le caratteristiche del suo assetto energetico individuale (come ogni altro individuo), subisce questo stato di cose, perlopiù inconsapevolmente. Tale distorsione impedisce a questa emanazione, nel regno umano, di esprimersi nel rispetto della sua peculiare natura, che come ogni emanazione, è indispensabile alla creazione. Questa particolare contraffazione e falsificazione è tipica dell’essere umano ed è totalmente estranea alla natura, non si assiste, infatti, nel regno animale a comportamenti di questo genere, non vedremo mai, ad esempio, uno scimpanzé che desidera essere una tigre. È necessario, invece, che ognuno sia se stesso e si ami profondamente per ciò che è, perché non esiste un’emanazione migliore o più importante di un’altra, come non esiste un sapore migliore di un altro, un profumo migliore di un altro, una nota migliore di un’altra, un elemento migliore di un altro, una stagione migliore di un’altra, ecc.… Esistono emanazioni espresse divinamente o demonicamente e tutti gli aspetti sono necessari, importanti e fondamentali per mantenere l’equilibrio dell’universo. La quarta emanazione distorta, si manifesta attraverso una forte stagnazione emotiva che caratterizza individui condizionati da un atteggiamento passivo nei confronti della realtà, inerti ma che non disdegnano le comodità terrene di cui, se possono, si circondano come dentro a delle “campane di vetro”, nell’illusione di essere protetti all’interno di questa materialità. Quest’attitudine, con il tempo, se non correttamente bilanciata dalla giusta volontà di azione, porta, come conseguenza, alla letargia mentale, emotiva e fisica. Questi individui, quando condizionati da tendenze negative, tendono a manifestare un’eccessiva accondiscendenza nei confronti delle ingiustizie, soprattutto se esercitate da chi detiene il potere terreno o riveste posizioni di comando. Uno dei loro maggiori limiti, che ereditano dalla seconda emanazione, è la paura, perché invece di ritrovare la naturale unità divina in seno all’energia cristica, si perdono e si frammentano nelle numerose sfaccettature emotive che prive della giustizia e del coraggio provenienti dalla fonte, diventano solo un mosaico di vetro dai mille colori, attraverso cui guardano una realtà che vedono solo loro e che finisce per vertere solo intorno a sé stessi e al loro letargico egoismo. La quinta emanazione distorta, è il dominio della mente inferiore sullo spirito, è la prevaricazione della razionalità terrena che esclude la logica divina, è il principio dell’intelligenza al servizio della soddisfazione dei sensi per un verso e della vittoria del nichilismo per l’altro, è l’analisi della realtà senza empatia, senza emozioni, ma solo da un punto di vista ostentatamente razionale ma sempre pragmatico. La loro è una razionalità simulata, in quanto priva di un’energia fondamentale al tutto, che è quella dell’attrazione, del magnetismo, della condivisione e dell’inclusione, cioè il vero amore. Tale presunta “razionalità” conduce, spesso, ad una forte miopia scientifica che con il tempo, viene sovente smentita dalla scienza stessa, come dimostrano, ad esempio, palesemente i recenti studi teorici di fisica quantistica, sulla coscienza o, ad esempio, la contemporanea rivalutazione in negativo degli effetti benefici della carne rossa sull’organismo umano, tanto osannati in passato. Questi individui colorano la realtà di un unico colore che manca totalmente di sfumature e che non è coerente con la complessità dell’universo, dei suoi misteri, delle sue leggi, nonché delle sue contraddizioni. Questa emanazione, come la terza, è soggetta alla tendenza di emulazione della prima emanazione, in quanto avendo al suo interno parte di essa, è fortemente attratta dalla forza e dal potere che emana, ma non essendo una prima emanazione non può disporre di questo potere come vorrebbe. Attraverso questa imitazione distorta ostacola, anch’essa, la sua naturale e fondamentale manifestazione. La sesta emanazione distorta, è la totale abnegazione emotiva, non nei confronti di Dio e del dharma, ma nei confronti di un principio che permette di sfogare rabbia, frustrazione o di arginare paure inconsce, è l’emanazione demoniaca del fanatismo e dell’intolleranza in tutte le sue forme, in particolare quelle religiose. Sotto la spinta di un forte autosacrificio e capacità di autoimmolazione, questi individui vedono un solo “dio”, il loro dio, quello che si sono creati a misura del loro ego e ad immagine e somiglianza di sé stessi. La settima emanazione distorta, si manifesta attraverso l’espressione di un’eleganza attrattiva ma illusoria, ostentando una ricerca dell’ordine e della raffinatezza ma solo ad un livello terreno, per quanto ricerchi godimenti terreni mai grossolani o rozzi ma sempre pieni di spessore e sfumature, per questa sua caratteristica riesce a confondersi bene con l’eleganza, la delicatezza e la sensibilità tipiche dell’energia divina, è anche l’emanazione della medianità demoniaca e del ritualismo satanico o comunque atto a richiamare le forze oscure della creazione. L’ottava è conosciuta, in esoterismo, come l’emanazione degli abissi e rappresenta, in senso lato, ciò che nelle tradizioni religiose causa la perdizione degli esseri umani, la sua azione principale, tecnicamente, è quella di annientare la coscienza umana attraverso la distruzione della memoria spirituale connaturata ad essa, questa emanazione non è associata ad alcuna frequenza dello spettro visibile elettromagnetico, esotericamente viene accostata al colore nero. Nella tradizione mistica ed esoterica, i pianeti del sistema solare, sono espressioni, ad un livello vibratorio fondamentale, di queste emanazioni o forze, anche se per la nona emanazione deve essere fatto un discorso a parte. Dopo aver descritto, a grandi linee, alcuni dei tratti fondamentali e, necessariamente, generali delle sette emanazioni divine e dell’azione dell’ottava su ciascuna di esse, per come si presentano e agiscono nel regno umano, possiamo cercare di tracciare la particolare natura della nona emanazione. 9) La nona forza o emanazione è Da’at o Daas (ebraico: conoscenza), quella che viene definita, in ambito cabalistico, la sephirah invisibile o “undicesima” sephirah, sebbene il Sefer Yetzirah, sia chiaro rispetto al fatto che le sephiroth sono dieci, e questo sottolinea la natura particolarmente esoterica ed occulta di questa sephirah. Da’at indica, in ambito esoterico, gli Abissi, le profondità dell’energia divina, quell’aspetto mutevole che permette di passare da una sephirah all’altra, come da una specifica sephirah al suo aspetto speculare rappresentato dalla qliphah corrispondente (da un loka al corrispettivo pātāla), il passaggio dall’Albero della Vita delle sephiroth, all’Albero della Morte delle qliphoth, per poi seguire il percorso inverso e tornare dall’Albero della Morte a quello della Vita. Da’at, o Daas, non corrisponde ad alcuna qliphah, l’Albero della Morte delle qliphot non ha alcun potere su di lei, Da’at rappresenta il passaggio da uno stato all’altro attraverso un contatto costante con l’essenza divina. La nona forza è la mahāvidyā Dhūmāvāti shakti, l’Antica, nella tradizione tantrica è definita, la shakti “fatta di fumo”, essendo associata ai campi crematori, viene adorata nella forma del fumo che si forma dalle pire funerarie dei cadaveri e chiamata, per questo, anche Dhumorna, la shakti di Yama, il dio dei morti. Viene definita anche come Chanchala “senza riposo o sosta”, in quanto viene detto che lei rimane attiva nell’universo anche quando le altre shakti riposano. Ella viene, sovente, associata alle forze oscure della creazione, può stare fianco a fianco con gli asura (demoni) e le asurī (demonesse), senza che tali entità ne siano consapevoli, è associata al colore nero o il grigio del fumo e il suo emblema è un corvo nero. È la forza primitiva e primordiale che trascende la dualità loka/pātāla, percorrendo tutto il continuum spaziotemporale che unisce i pātāla ai loka e i loka ai pātāla. Esclusa quell’unica eccezione in cui viene associata a Yama (aspetto del Divino che, nella tradizione, rappresenta la morte, la fine, il nulla), Dhūmāvāti è l’unica shakti che non ha shaktiman, ovvero aspetto yang (maschile), per questo definita “vedova”. Altra shakti associata alla nona forza è Kālī, la prima suprema shakti, essenza della prima emanazione, ad indicare il particolare legame che la nona ha con la prima forza, nonché la sua particolare carica distruttiva latente, nascosta, yin, ma non meno invasiva, aspetto distruttivo rappresentato da Kālī, per la sua peculiare natura istintiva e primordiale, non modificata, particolare ed elaborata, come nel caso di Tripurbhairavi, Chinnamastā e Baglamukhi. La nona emanazione è la più difficile da comprendere, in quanto la sua azione è solo in piccola parte connessa all’umanità, gli insegnamenti esoterici spiegano che è quanto di più lontano dall’essere umano si possa immaginare. L’ottava emanazione, in qualche modo, ha un suo peculiare contatto con l’umanità, attraverso tutto ciò che è distorto, attraverso ciò che viene considerato male, perché per attrarre l’essere umano ed ammaliarlo deve, comunque, rendersi comprensibile, ma la nona va oltre. La nona emanazione entra dentro le profondità dell’ottava, la sviscera, la assorbe, la supera e va oltre. È stato detto che le uniche emanazioni che stabiliscono una connessione con la nona sono la prima, l’ottava e la quinta. Tutte le fonti principali delle emanazioni che operano all’interno del sistema solare sono extra-sistemiche, ma nel caso della nona emanazione soltanto una piccola, piccolissima percentuale sarebbe all’interno del sistema solare, perché l’essere umano ed altre linee alla sua connesse, come quella angelica o devica, non la sosterrebbero. Vi è un’altra emanazione, oltre all’ottava, che è in intima connessione con i buchi neri e questa è la nona. La differenza tra le due è che mentre l’ottava allontana inesorabilmente dalla fonte creativa primaria, dalla legge divina, dal Sanātanadharma, dal codice sorgente dell’universo/multiverso di riferimento, la nona riesce a portare fuori, da sitra achra (v. sopra), tutto ciò a cui si connette, in questo senso è legata al concetto teorizzato in fisica di white hole, buco bianco, ovvero, come ipotizzarono il fisico e filosofo tedesco Albert Einstein (1879-1955) e il fisico israeliano Nathan Rosen (1909-1995), l’ipotetica controparte di un buco nero. In base alle leggi della fisica è possibile ipotizzare, speculativamente, l’esistenza di oggetti fisici antitetici ai buchi neri, in altre parole, come un buco nero cattura tutto ciò che entra nel suo campo gravitazionale, inclusa la luce, potrebbero esistere, in via teorica, oggetti che emettono materia-energia ma in cui niente può entrare. Questi oggetti fisici sono stati definiti buchi bianchi. C’è una teoria speculativa in fisica che sostiene che i buchi bianchi si trovino all’estremo opposto dei buchi neri, ovverosia, che siano letteralmente l’uscita da un buco nero e che buchi bianchi e neri, siano connessi tra loro da cunicoli spaziotemporali. In pratica “entrando” in un buco nero si uscirebbe da un buco bianco in una regione spaziotempo diversa dell’universo, va detto però che ad oggi non esiste ancora alcuna prova concreta della loro esistenza, siamo quindi nel campo della speculazione teorica, va detto anche, però, che la fisica moderna è in continua evoluzione (o rivoluzione) e che diverse canalizzazioni, di un certo spessore, affermano che questa è una teoria che si avvicina molto alla realtà. La nona emanazione raccoglie le esperienze dal male in ogni suo aspetto, la distorsione di ogni stato di coscienza, ciò che di distorto ha contraddistinto una specifica creazione, la quale consiste in una sorta di corrispettivo del concetto di codice sorgente che, in informatica, è il testo scritto in un linguaggio di programmazione che deve essere efficacemente elaborato per giungere ad un programma eseguibile, il programma di un sistema specifico che in questo caso è la creazione fenomenica risultante della totalità degli insiemi spaziotemporali che concernono uno specifico multiverso come spiegato alla terza sezione. Questa emanazione entra in contatto con tutto ciò che porta all’annichilimento totale della coscienza, ma sopravvive, assorbe, impara, evolve e poi trasmette questa evoluzione e conoscenza alla creazione successiva attraverso la prima emanazione, potremmo paragonare questa forza, simbolicamente, al sistema immunitario di Dio e delle sue manifestazioni che entra in contatto con i virus di quel particolare sistema sia esso un multiverso con il suo programma sorgente, un singolo universo, un insieme di correnti di vita o una singola corrente vitale e ne sviluppa la memoria immunologica, per migliorare e rendere più forte il sistema successivo o creazione futura. Mentre la settima emanazione comunica alla prima il ricordo da cui proviene, la memoria del passato, la conoscenza dell’energia cristica del ciclo precedente, prerogativa indispensabile per non perdersi e mantenere sempre un contatto emotivo-spirituale con la fonte divina, la nona emanazione comunica alla prima, la conoscenza di tutti i possibili “virus” da lei scoperti nel suo particolare ciclo, che hanno attaccato il “programma” del suo particolare schema in quello specifico punto dello spaziotempo e le relative “cure”. Sarà compito poi della prima emanazione, con il fondamentale ed imprescindibile contributo delle altre sei forze, capire quali “cure” utilizzare, quali scartare, quali elaborare, quali perfezionare e quando. Tutto questo in relazione alla sopravvivenza delle coscienze monadiche umane, angeliche ed altre tra loro connesse, nel multiverso. La nona emanazione è quell’aspetto del Divino che pur allontanandosi più delle altre dalla fonte e pur entrando in territori “proibitivi” o “pericolosi”, in relazione alla coscienza spirituale, sopravvive ovunque, osservando in silenzio e mantenendo dentro di sé il ricordo profondo di quali sono e dove si trovano, la sua vera dimora e la sua origine che sono sempre e solo divine. Per questo è dopo l’ottava, perché l’ottava non ha alcun potere di distorsione su di lei, la nona ingloba l’ottava e va oltre, la sua vibrazione permane nel silenzio dell’eterno “nulla”, è l’emanazione dell’eco cosmico, non è associata ad alcuna frequenza dello spettro visibile elettromagnetico ed esotericamente, come nel caso dell’ottava forza, il suo colore è il nero. Come l’ottava emanazione, ha un legame esoterico con le corrispettive qliphoth, così, come abbiamo visto, la nona ha un particolare legame con quella che, in alcuni ambiti, viene definita come l'”undicesima” sephirah della cabala: Da’at, la sephirah invisibile degli abissi. Nel misticismo esoterico ebraico le qliphoth, rappresentano le forze del male che circondano e oscurano le sephiroth, appartengono a quello che è definito il reame del male, in aramaico denominato, come suddetto, sitra achra (altra parte). Da’at, è considerata come la traslazione di Keter Elyon, la prima sephirah, su un piano che potremmo definire abissale, rappresenta un raggio della luce infinita di Ohr Ein Sof, che arriva nelle dimensioni più insondabili del multiverso per poi ricongiungersi, con nuovi poteri e conoscenze, alla fonte emanativa attraverso Keter, e così Keter e Da’at chiudono il cerchio. Differentemente dall’ottava, la nona torna dagli abissi (situati in prossimità dell’”altra parte” o sitra achra), rappresentati simbolicamente da Da’at, superandoli per congiungersi ad un ciclo successivo più consapevole e funzionale, collegandosi ad una nuova Keter, la sephirah cabalistica della Volontà Prima, mantenendo contemporaneamente, un contatto connaturato con tutti i cicli precedenti e quindi con il passato della creazione di cui fa parte. Vi è un’importante relazione tra gli undici elementi cabalistici, cioè le dieci sephiroth e Da’at con gli universi paralleli e le nove emanazioni. Ogni universo spaziotemporale non è mai identico all’altro, altrimenti sarebbe un duplicato e in fisica come in esoterismo, questo non è possibile. Le differenti esperienze percettive che contraddistinguono i vari universi connettono tali universi e i mondi, a frequenze diverse, potenzialmente infinite, ma relativamente all’essere umano e rispetto agli insegnamenti mistici ed esoterici, ad almeno quattordici stati vibratori connessi alle nove forze o emanazioni, come abbiamo precedentemente visto. Ricapitolando; Keter, la prima sephirah, è in relazione con la prima emanazione; Hokmah, la seconda sephirah, con la seconda emanazione; Binah, la terza sephirah, con la terza emanazione; Chessed, la quarta sephirah; con la quarta emanazione, Ghevurah, la quinta sephirah, con la quinta emanazione; Rachamin, la sesta sephirah, con la sesta emanazione; Netsah, Hod, Yesod e Malkuth, rispettivamente: la settima, l’ottava, la nona e la decima sephirah, con la settima emanazione. Le qliphoth, come suddetto, sono in relazione all’ottava emanazione e Da’at, gli abissi, la “sephirah” invisibile, è in relazione, con la nona emanazione. Anche se Da’at, in realtà, è connessa all’esperienza di entrambe, all’ottava quando dopo l’entrata negli abissi, non segue la rinascita attraverso una nuova Keter, ma la coscienza sprofonda sempre più nell’oblio di se stessa, non superando l’esperienza di Da’at, alla nona quando agli abissi segue l’ascesa e l’inizio di un nuovo ciclo attraverso la rinascita in Keter . Vorrei dire anche due parole sullo zero divino. Lo zero divino oltre ad indicare, nella speculazione fisica e in matematica, il “vuoto” o il “nulla”, può essere equiparato ai concetti induisti di shūnya (vuoto o vacuità), avyakta (immanifesto) e adrishta (invisibile). Viene definito il vuoto, in quanto non vi sono termini per caratterizzarlo diversamente, poiché tutto ciò che viene utilizzato per definire lo shūnya appartiene già alla creazione e quindi è già oltre lo zero e l’immanifesto (avyakta) nel senso che lo zero, è quell’elemento matematico che per definizione, anche metafisica, resta sempre un passo prima a tutto ciò che è tangibile, manifesto o manifestato, ma ne è permanentemente la fonte. Il concetto di zero in matematica è molto simile, per certi versi, all’avyakta e allo shūnya hindū, concetti che devono essere intesi come l’impossibilità dell’essere umano di comprendere il Creatore e il potere creativo per chi è successivo all’atto creativo stesso, cioè le creature e che quindi non può spiegare un evento che si è verificato quando l’essere umano non esisteva ancora, ma solo nel senso che non dispone dell’attuale autocoscienza o, in altri termini, della consapevolezza necessaria per andare oltre la griglia spaziotemporale a cui la sua mente, normalmente, si aggrappa per poter esistere e dare un senso a se stessa. Non è un caso che siano stati proprio i matematici hindū a concepire il concetto di zero che successivamente è giunto fino a noi, infatti i greci e i romani non avevano affatto l’idea dello zero, secondo loro era impensabile, in quanto il nulla non può essere qualcosa. Fu nel medioevo che gli arabi esportarono questo concetto in Occidente, il concetto metafisico e matematico espresso dal termine hindū shūnya, fu raccolto dalla cultura araba e racchiuso ben presto all’interno del termine arabo “sifr”, ovvero, “nulla” (ebraico: éfes), da cui origina il termine zero. In ogni caso i matematici europei importarono velocemente lo zero come cifra, introducendolo successivamente tra i loro numeri, difatti lo zero si rivelò essere un elemento utile per gli algebristi. Ebbene, lo zero divino rappresenta, in esoterismo, la fonte del potere creativo di Dio ed è quell’elemento, dei dieci fattori della creazione che pur essendo, in essenza, rispetto ai nostri parametri (e non solo nostri), shūnya, avyakta e adrishta, dà origine agli altri nove. Come abbiamo visto, restando nell’ambito del misticismo esoterico ebraico, tale elemento, può essere paragonato a quell’Ente infinito e indecifrabile che si manifesta e si palesa nelle dieci sephiroth, Ohr Ein Sof, la Luce infinita ed illimitata. Arrivati a questo punto, possiamo passare alla descrizione di come queste manifestazioni energetiche del multiverso agiscono, più specificatamente, nel regno umano. Tale descrizione procederà, come è stato fatto anche in questo capitolo, dallo specifico punto di vista emotivo del soggetto, cioè come l’essere umano percepisce, vive e interpreta soggettivamente queste nove forze, in interazione con lui. In altre parole, analizzeremo come i corpi alternativi o kosha, e le emanazioni che li contraddistinguono, vengono percepiti, sperimentati e vissuti dai nostri ego (ahamkāra) su questo piano, definito dai testi sacri, fisico, cioè in questo mondo particolare appartenente a Bhūrloka, non solo, quindi, concepiti, generalmente, come altri ego o altri individui di altri mondi, per quanto a noi connessi, ma come corpi: emotivo, mentale, intuitivo, ecc… in relazione alla nostra persona, e parti integranti dello specifico ego che ci caratterizza su questo specifico piano dimensionale e come componenti della nostra individualità, qui e ora, perché è attraverso tale modalità che questi alter ego vengono realizzati da chiunque, e analizzarli da questa prospettiva è l’unico modo per capire l’effetto che tali interazioni, e le relative forze, hanno su ognuno di noi. Una delle ragioni che enfatizza, nei testi sacri hindū, lo studio e l’analisi di questi frammenti coscienziali dello stesso sé (paramātman), o alter ego, abitanti in altri mondi, in relazione alle nostre emozioni, la nostra mente, ecc…, pur essendo, da un punto di vista più critico, oggettivo e meno partecipato, altri ego a noi permanentemente interconnessi, di altri loka e di tempi diversi, è proprio il vissuto soggettivo e la natura induttiva di tale esperienza che ci ricorda, costantemente, che il sé primario, fonte coscienziale, monade o paramātman, sono uno e lo stesso per ogni singola entità divina, quale noi siamo nel profondo del nostro essere. Per quelli che sono i nostri paradigmi mentali, è più semplice intendere questi alter ego come dei corpi che hanno una loro ragion d’essere in relazione a questo nostro ego, o frammento coscienziale fisico, ossia coerente a Bhūrloka ma, in ogni caso, per comprendere correttamente questa tematica è necessario ragionare controintuitivamente rispetto al nostro modo di interpretare il senso d’identità, perché in realtà nessuno di questi alter ego è superiore all’altro, e la coscienza che ciascuno percepisce è solo un aspetto globale della coscienza monadica da cui ognuno attinge la sua individualità, noi siamo loro e loro sono noi e contemporaneamente siamo ego distinti e tutti insieme apparteniamo alla nostra monade, l’unico paramātman, e contemporaneamente siamo tutti distinti da essa. Comprendo come tutto ciò possa, risultare, apparentemente, un controsenso, ma proprio in questo sta la controintuitività e la forza di questa particolare visione, tutti gli alter ego di un’unica monade sono al contempo uno e diversi, così come un fotone è allo stesso tempo un’onda di probabilità e una particella e così come quella che definiamo come la nostra coscienza subisce nel corso della vita terrena, continue interruzioni e salti ontologici come testimoniato dai continui passaggi tra stati di veglia, onirici (REM), sonno profondo (N-REM), per non parlare degli stati estatici e mistici in genere.